Fabrizio Gifuni nei panni del conduttore di Portobello. Una serie che racconta la caduta e la rinascita di un uomo travolto dall’ingiustizia.
Alla Mostra del Cinema di Venezia non arrivano soltanto storie di fantasia o narrazioni visionarie, ma anche vicende che hanno segnato profondamente la storia italiana. Marco Bellocchio, maestro del cinema europeo, ha scelto quest’anno di portare sul grande schermo – in forma di serie – la parabola umana e professionale di Enzo Tortora. Un personaggio controverso, ricordato da molti come il popolare conduttore televisivo di Portobello, ma anche come simbolo di una delle più clamorose ingiustizie giudiziarie del nostro Paese.
Al centro della serie c’è Fabrizio Gifuni, attore di straordinario rigore interpretativo, che veste i panni di Tortora restituendone fragilità, forza e dignità. La sua trasformazione fisica e psicologica impressiona il pubblico veneziano, chiamato a rivivere una vicenda che, a distanza di decenni, conserva un valore politico e civile di grande attualità.
L’“antieroe” italiano
Definire Enzo Tortora un “antieroe” significa sottolineare come la sua figura si discosti dai canoni tradizionali dell’eroismo. Non un vincitore, non un uomo tutto d’un pezzo, ma una persona comune catapultata in un incubo giudiziario. Arrestato nel 1983 con l’accusa infamante di traffico di droga e associazione camorristica, Tortora divenne suo malgrado protagonista di un processo mediatico e giudiziario che lo segnò per sempre.
Bellocchio racconta non solo i fatti, ma anche le conseguenze umane di quella vicenda: la sofferenza di un uomo messo alla gogna, la forza con cui decise di difendersi, la capacità di trasformare il dolore in battaglia civile. Un percorso che lo rese icona di una giustizia fallace ma anche di un’Italia capace, seppur tardivamente, di riconoscere i propri errori.
Bellocchio e la memoria
Il regista, già autore di opere che hanno scandagliato la memoria collettiva del Paese, da Buongiorno, notte a Esterno notte, conferma la sua vocazione di narratore delle contraddizioni italiane. In questa nuova serie, il suo sguardo si concentra sull’individuo e sul sistema che lo schiaccia. L’obiettivo non è solo raccontare la biografia di un uomo famoso, ma sollevare domande più ampie sulla responsabilità delle istituzioni, sull’etica dell’informazione e sul rapporto tra giustizia e opinione pubblica.
La scelta della serialità come formato non è casuale: permette di dare respiro ai personaggi, di restituire le sfumature di un’epoca, di approfondire i meccanismi che portarono al crollo di Tortora e alla sua parziale riabilitazione.
Gifuni e un ruolo da “peso massimo”
Fabrizio Gifuni, che già con Esterno notte aveva dimostrato la sua straordinaria capacità di incarnare figure complesse, trova in Tortora un ruolo di altissima difficoltà. La sua interpretazione non punta a un’imitazione, ma a una ricostruzione emotiva e morale. La voce, i gesti, lo sguardo: tutto contribuisce a restituire l’immagine di un uomo ferito ma non piegato.
Accanto a lui, un cast di attori scelti con cura contribuisce a delineare il clima di un’Italia segnata da scandali, processi e televisioni di massa.
Venezia tra cinema e memoria
La presentazione della serie a Venezia si inserisce in un’edizione che sembra privilegiare storie radicate nella realtà, con drammi personali che diventano metafore collettive. L’accoglienza del pubblico è stata intensa, con applausi e discussioni che confermano la capacità del cinema di riaprire ferite mai del tutto rimarginate.
Bellocchio, dal canto suo, ha ricordato che “la storia di Tortora non è solo la vicenda di un singolo, ma un monito per tutti”. Una riflessione che risuona oggi più che mai, in un’epoca in cui la giustizia e l’informazione sono al centro di accese polemiche.