Covid-19: nuovo giro di vite, con un prezzo altissimo per le imprese

 
La decisione del governo - che sarà formalizzata facendo ricorso al mai troppo vituperato meccanismo dei decreti del presidente del Consiglio - di attuare un giro di vite sulle abitudini degli italiani per cercare di abbassare il pericolo di contagio non si può censurare, dal momento che i numeri sono quelli che sono e sarebbe pernicioso non tenerne conto.

Il problema, però, non è tanto imporre l'uso della mascherina nei luoghi aperti o porre delle limitazioni alle riunioni o ad altre occasioni in cui si è in numero ritenuto potenzialmente foriero di contagi (quindi, anche le feste in casa, con il dubbio su come si effettueranno i controlli), quanto l'utilizzo di una decretazione emergenziale che comincia a pesare pesantemente sulla vita degli italiani che l'avvertono come una compressione delle proprie libertà e, quindi, per la transitiva, una sorta di attacco mascherato alla democrazia.

Non crediamo che sia il caso di drammatizzare più di tanto misure che, quale che fosse il ''colore'' politico del governo pro-tempore, occorreva adottare. Ma il fatto vero, che induce a preoccupazioni, è la percezione che ha la gente di vedersi costretta entro perimetri comportamentali che stenta a comprendere, ma che soprattutto si dimostrano devastanti per il tessuto sociale ed economico di un intero Paese.

I numeri sembrano dare ragione alle forti preoccupazioni del governo: il 4 ottobre i nuovi contagi registrati sono stati 2.578, mentre il numero delle vittime (tra cui anche monsignor Giovanni D'Alise, vescovo di Caserta) è stato di 18 (3030 i pazienti in terapia intensiva). Dati numericamente più bassi del giorno precedente, ma con oltre 26 mila tamponi in meno. Quindi il numero dei contagi sale e questo è molto più che un segnale: è la preoccupante conferma di un trend che le attuali condizioni di vita degli italiani sembrano favorire.
I contraccolpi che, dalla decretazione in materia di Covid-19, si stanno materializzando per la vita quotidiana degli italiani sono palesi. Ma altrettanto palese è la mancanza di certezze nella linea che, da un esecutivo, ci si deve attendere davanti ad un dramma come quello che stiano vivendo.

Facciamo l'esempio delle restrizioni che dovrebbero essere contenute nel prossimo decreto del presidente del Consiglio. Dato per scontato l'obbligo di indossare le mascherine all'aperto e in ogni circostanza, che trova una qual certa giustificazione (chi viola la prescrizione rischia multe salate, da 400 a 3000 euro), quello che suona stonato è il nuovo regime che si sarebbe deciso per gli esercizi pubblici legati alla ristorazione. Quindi, ristoranti e bar dovrebbero andare a rivedere gli orari di chiusura. Cosa che potrebbe tradursi in un durissimo colpo per questi esercizi che sembravano essere appena in vista della luce fuori dal tunnel.

Ma imporre la chiusura alle 23 quali risultati concreti otterrà? Chi vuole andare a mangiare al ristorante dovrà solo anticipare di un paio d'ore il suo programma, con la sola conseguenza che si mangerà in fretta e si uscirà subito dopo. Quindi, non si cancella il pericolo di contagio, ma lo si anticipa soltanto.
Se poi, come pare, le restrizioni riguarderanno altre attività che, per definizione, prevedono un determinato numero di persone e particolari condizioni di contiguità (vedi discoteche e palestre) l'orizzonte che si prospetta per molte attività produttive è fosco, al limite del tracollo.

Forse è giunto il momento che il Governo faccia quello che gli tocca fare, e che non si riduce solo a imporre l'uso generalizzato ed ovunque di mascherina - e questo ci sta -, ma anche ad evitare che la crisi economica diventi ancora più grave.
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