Cosa ha mai fatto di male l'Italia per avere un Corona che si erge a Savonarola?

- di: Redazione
 
È dura ad ammetterlo, ma Fabrizio Corona è riuscito nell'impresa di fare dare ragione al generale Vannacci, che ha intitolato il suo libro ''Il mondo al contrario''. Perché solo in un mondo in cui le cose vanno in senso diametralmente opposto alla logica e alla ragionevolezza, Corona poteva riuscire a calamitare tanta attenzione, confermando quindi le strane tesi del generale oggi più famoso d'Italia, che ha scalzato dalla hit parade degli uomini con le stellette il ''supercommissario'' Figliuolo.
Quello che viene definito ''il re dei paparazzi'' (quanto devono essere contenti i professionisti del settore nel vederlo collocato sul trono del migliore...) solo in Italia, appena uscito da un regime detentivo, poteva essere accreditato di tanta attenzione, quando si è messo a parlare di calcio, scommesse e altre amenità del genere.

Cosa ha mai fatto di male l'Italia per avere un Corona che si erge a Savonarola?

Lui che oggi, come una madonna pellegrina mediatica, viene conteso da questa o quella trasmissione dove, onorato, incensato, acclamato, dice la sua, approfittando del fatto che, essendo pagato, può farlo.
Se poi riflettiamo sulle trasmissioni che lo hanno ospitato e che, nella quasi totalità, fanno parte del palinsesto della Rai, e che quindi si rivolgono ad un pubblico generalista, c'è da restare tra l'allibito e il disgustato considerando tanta spregiudicata superficialità nelle scelte della Tv di Stato.

Il carcere, lo dice la nostra Costituzione, non deve solo punire, mirando alla rieducazione del detenuto, al suo reinserimento nel tessuto sociale. Ma qui forse l'art.27 della nostra Carta fondamentale è stato preso un po' troppo alla lettera, perché a Corona - che ha scontato molti anni, tra carcere e comunità - non sono solo state date ampie e plurime possibilità di guadagnare, quanto di pontificare dall'alto di un malinteso diritto alla parola, che ha un senso solo se non se ne fa uso in modo così sprezzante e, soprattutto, senza alcun contraddittorio, una condizione che è l'anticamera della peggiore informazione.
Quando, come dicono gli inglesi, è sempre buona norma ''hear both bells'', cioè sentire tutti e non solo uno.

Il tema sporco su cui Corona ha infilato tutte e due le mani, ben sapendo di sporcarsele, è quello della dipendenza dal gioco di alcuni calciatori professionisti. Anche se questa definizione è troppo benevola, perché si assimila chi è affetto da ludopatia - che è malattia riconosciuta ovunque, tra slot machine, 'gratta e vinci' poker o black jack - a chi, ricco, gioca per passare il tempo, nelle ore di ozio tra un allenamento e una partita.
Fatta salva questa distinzione, la discussione è aperta ad ogni contributo.
A patto di non lucrarci sopra, a patto di non fare passare per una crociata una semplice operazione commerciale: alzo il livello delle ''rivelazioni'', centellinandole, per farci soldi, leciti certamente, ma non certo mondati dal sospetto che arrivino approfittando del disagio o del degrado di altri.

Fatta salva la ovvia distinzione, è come se qualcuno andasse in televisione e rivelasse il nome di chi, anche famoso, è schiavo della droga. Perché, quando il gioco diventa compulsivo, è una schiavitù.
Invece, in questa strana Italia, Corona può andare, pagato, in televisione spesso ''intervistato'' (si fa per dire) da chi pone domande e non ne sa frenare le intemperanze verbali, consentendogli di dire e non dire, persino di insultare o, peggio ancora, di dare lezioni di comportamento e moralità.

E, quando parliamo di interviste, facciamo un torto ai professionisti di questa ''arte'', quelli che sanno porre domande anche cattive senza limitarsi ad ascoltare le intemerate dell'ospite.
Cosa che non sempre è stato fatto per Corona, che ha utilizzato uno schema collaudato, quello di chi fa intuire, ma non dice, per aumentare l'interesse e quindi anche il cachet della prossima apparizione in tv.
Che poi il modo di fare pseudo-informazione passi per uno stillicidio di nomi e circostanze sta nella logica di questa vicenda, dove il protagonista è un personaggio di cui le cronache si sono interessate quasi sempre per vicende poco edificanti e certo non può ora ergersi a modello o, peggio, censore.
Una storia in cui a essere presa a calci non è un pallone, ma la dignità di un intero Paese.
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