Covid-19: rebus discoteche, dall'ottimismo alla chiusura

- di: Diego Minuti
 
Le decisioni assunte dal governo per chiudere immediatamente le discoteche e contestualmente alzare il livello di prevenzione della pandemia nei luoghi maggiormente frequentati (quelli che amano i giovani per passeggiare, incontrarsi, divertirsi) potrebbero essere sintetizzate, in termini di immagine, da un cane che si morde la cosa, in cui è difficile capire chi ha cominciato cosa e quando.

Il preoccupante lievitare del numero dei contagi, registrato nelle ultime settimane, in coincidenza con l'inizio della stagione delle vacanze, non poteva essere un fenomeno al quale assistere senza prendere alcuna iniziativa ed il governo lo ha fatto. Se poi parliamo di tempistica ed opportunità il discorso diventa diverso.

Che le discoteche possano essere un luogo in cui il contagio trova condizioni ideale per espandersi è evidente oggi, ma era evidente anche quando è stata data luce verde alla loro riapertura.
Ci sta il fatto che il settore non poteva perdere una intera stagione; ci sta il fatto che i nostri ragazzi, dopo essere stati incapsulati fisicamente in conseguenza delle misure di prevenzione del contagio, reclamavano a gran voce che gli si restituissero gli spazi legati alla loro condizione di giovani.

Quello che forse non ci stava era pensare che, all'improvviso, la riapertura di questi locali, tradizionalmente legati al contatto ravvicinato dettato dalla musica, coincidesse, quasi automaticamente, con un netto innalzamento del livello della presa di coscienza personale.
Le immagini che corrono sui mezzi di comunicazione danno una rappresentazione ben diversa da quella auspicabile di manipoli di ragazzi che, coscienti del pericolo, rispettano distanze e obbligo della mascherina (con bocca e naso coperti).

Niente di tutto questo. Ed è anche comprensibile perché è difficile oltre che faticoso ballare e stare con bocca e naso tappati.
E oggi, invece, ci ritroviamo con una misura drastica - la chiusura - conseguenza di un'altra - l'ok alla apertura - presa sull'onda di un ottimismo che si è dimostrato forse azzardato.
Come se, davanti ad una pandemia gravissima come quella che stiamo affrontando si possa essere ottimisti, lasciando da parte la prudenza.

Certo, il settore delle discoteche rischia di imboccare la galleria del disastro economico, ma, mi chiedo - ed è la domanda che si dovrebbero porre coloro che ci governano -: davanti ad una crisi generalizzata, quali settori devono essere tutelati o salvaguardati prima degli altri? In una scala di priorità dettata dalla logica e dalla consapevolezza dei rischi, forse le discoteche non sarebbero al primo posto. Ma non è nemmeno giusto non considerare le esigenze di strutture che fanno parte del circuito più vasto ed articolato del turismo, oggi letteralmente in ginocchio.

Probabilmente tutti - compresi coloro che, nei ruoli diversi, commentano, contestano, criticano, propongono, blandiscono - dovrebbero avere la consapevolezza che la crisi è talmente grande, vasta e profonda che ogni decisione che viene adottata rischia di mettere a posto una situazione ed aggravarne un'altra. Come sembra stia accadendo
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