Crisi o non crisi? La gente non capisce
- di: Diego Minuti
Mai, come in questo momento, la classe politica italiana (la maggioranza di Governo soprattutto) sembra essere distante dalla gente, da quelle persone che, si spera dopo un ragionamento approfondito, l'ha premiata mandandola in Parlamento.
In strada, sui social, sui media, gli italiani mostrano il loro sbigottimento per quanto accade, chiedendosi cosa mai di male abbiano fatto, in questa vita e nelle precedenti, per meritarsi uno spettacolo indecente, in cui gli interessi del Paese passano in secondo piano rispetto a dispettucci che riportano all'asilo Mariuccia e non alla massima espressione della volontà popolare.
Il tempo scorre e diventa sempre più limitato per dare all'Italia un impianto organizzativo, ma soprattutto politico, per evitare che i fondi europei si disperdano in mille rivoli, la maggior parte dei quali destinati a rimpinguare casse e portafogli dei soliti noti.
Ma questa volta l'Europa non starà a guardare nella consapevolezza che ormai l'Italia è politicamente l'anello debole dell'Unione ed un eventuale tracollo della nostra economia non si fermerebbe al confine. Gli italiani cercano di capire, cercano soprattutto una spiegazione a quanto sta avvenendo, ed in questo non è che l'informazione sia di grande aiuto. Tacendo dei quotidiani apertamente schierati (soprattutto a favore del centrodestra e dei grillini), gli altri, pure i solitamente più informati, hanno difficoltà a capire e quindi spiegare quel che accade nel Palazzo, dove i capponi di Renzo (non Renzi) si beccano, ignari che finiranno entrambi in un pentolone ribollente.
L'arma di minacciare la crisi, con lo spettro delle dimissioni, è vecchia come la politica. Solo che prima il sistema parlamentare aveva in sé una sorta di dignità che determinava, ipso facto, scioglimento e nuove elezioni, ben sapendo che dopo le diversità di vedute avrebbero trovato una composizione al tavolo delle trattative.
Oggi è tutto condizionato da ragionamenti non di legislatura, ma di lungo periodo. Perché, salvare questa legislatura (e quindi gli stipendi degli attuali parlamentari) non sembra essere una priorità politica, ma solo di convenienza. Se si sciogliessero le Camere, infatti, si spianerebbe la strada ad un nuovo Parlamento totalmente diverso da questo, ma non necessariamente meno conflittuale. Il centrodestra prossimo venturo, infatti, non potrà essere quello di oggi, con significativi scostamenti di consenso che, accorciando la differenza di voti e seggi tra Lega e Fratelli d'Italia, porrebbe un problema di leadership che Salvini reclama e Meloni, oggi, sulla scia dell'aumentato consenso, non è disposta a regalare.
Un rimescolamento di carte che non è palese solo agli occhi dei Cinque Stelle che sembrano non guardare più alle recenti sconfitte elettorali (per non parlare dei sondaggi), ritenendosi quelli d'inizio legislatura, quando invece non lo sono più, numericamente ed anche politicamente, in un panorama dove alle analisi pacate e realistiche dell'attuale leadership del movimento cerca di sovrapporsi lo starnazzare di chi è fuori dal gruppo di comanda e brama di entrarci, ma alle sue condizioni.
E l'essere ormai Giuseppe Conte parte integrante del movimento (forse per utilizzarlo come navetta di Caronte per raggiungere la meta, ovvero la nascita di un suo partito, ma questo è un altro discorso) non aiuta i Cinque Stelle, costretti ad appoggiarlo anche quando taluni suoi atteggiamenti o scelte tradiscono il pensiero dei grillini d'antan.
Ma oggi è oggi e Conte, appoggiato (non sappiamo sino a che punto convintamente) anche dalla nomenklatura del Pd, si sente autorizzato a sfidare Renzi e ad andare avanti.
La posta in gioco è altissima ed evidentemente Renzi (che difficilmente uscirà dalle prossime elezioni con gli stessi numeri in Parlamento di oggi) sente di avere in mano le carte migliori.
A patto di capire cosa l'ex segretario del Pd voglia veramente: la testa di Conte o maggiore potere? Se ci pensate, in fondo è la stessa cosa.