Conte non è più indispensabile, ma nemmeno il male minore

- di: Diego Minuti
 
Il tempo è una di quelle cose di cui ci si accorge quando comincia a non essercene più. Senza volere entrare in campi che non ci appartengono (come la Fisica), ci sembra che di tempo ormai, a questo strano Paese, ne resti poco, se veramente vuole uscire dalla pandemia al meglio di quello che gli aiuti europei consentono.
Ed invece no, perché il Governo - da cui avrebbe dovuto venire la spinta più forte, rivolta al suo interno così come all'indirizzo dell'opposizione - si è infilato in un cul de sac che ne riduce i margini di manovra dal momento che, per uscirne, uno dei duellanti dovrebbe ammettere di avere tirato troppo la corda.

E invece non è così, determinando in questo modo i contorni di una vicenda che, se non fosse terribilmente seria, sarebbe semplicemente grottesca.
Il nostro presidente del Consiglio forse troppo tardivamente si è accorto di avere dato del suo ruolo una interpretazione che poco s'attaglia ad una architettura costituzionale come la nostra, dove il primo ministro coordina il lavoro dell'esecutivo, non essendo egli investito da un mandato elettorale diretto. Chi siede a palazzo Chigi lo fa non perché lo ha scelto direttamente il popolo, ma perché così hanno voluto coloro che lo stesso popolo ha voluto che lo rappresentassero in Parlamento.

Forse Giuseppe Conte lo ha ritenuto un passaggio secondario e di questo forse c'era stato sentore quando si era presentato come "l'avvocato degli italiani", come se noi fossimo in lite con qualcuno al punto tale da avere sempre necessità assoluta di chi ci difendesse in un contenzioso. Una visione che certo deriva a Conte dalla sua professione, ma che poco riguarda la "gestione" politica delle sorti di un Paese che non ha bisogno di un avvocato, ma di qualcuno che lo faccia andare avanti al meglio delle sue possibilità e capacità. Ecco, forse Giuseppe Conte aveva bisogno di capire questo e non invece di considerarsi, in virtù dell'investitura politica datagli dall'alleanza di forze ideologicamente molto distanti, un unto del Signore 2.0.
Probabilmente, anche davanti al baratro politico che si è spalancato sul cammino del Governo, Conte insiste nel considerarsi indispensabile, una condizione che, nella Storia recente del Paese, solo Bettino Craxi si era ritagliata. Ma con Craxi parliamo di uno statista che sbagliò tantissimo (come fecero molti altri, comunque) e per questo pagò il giusto prezzo, ma che aveva dimostrato che la carica di presidente del consiglio era da portare con fatica, non come una medaglia oppure, per volere essere un pizzico malvagi, come una perfetta stilisticamente pochette a tre punte.

Oggi - e forse in questo hanno ragione i maggiorenti di Pd e Cinque Stelle che lo ritengono insostituibile - Giuseppe Conte è solo il male minore, perché non lo si può sostituire, anche se su questo si potrebbe discutere tantissimo. Essere il "male minore" è una di quelle condizioni che fanno rischiare, perché se ne può trovare un altro forse ancor di più minore, ma più utile.

È infatti probabile, con un Conte non più necessario, che si andrebbe al voto con la consapevolezza che la maggioranza di oggi non sarebbe più tale ad urne chiuse.
Ed invece Conte continua nella sua personale interpretazione della carica, cui attribuisce uno spessore monodecisionale che è tale solo in una visione distorta della sua attuale condizione. Quindi, non è più l'autoproclamato "avvocato degli italiani", ma qualcuno che si sente un politico, condizionato da un elevato tasso di ambizione personale.
Poco sposta, in questa analisi, la crociata che ha lanciato Matteo Renzi, che, purtroppo per lui, ha sprecato una enorme dote di credibilità che si era conquistata al suo ingresso nell'agone politico nazionale.

Oggi, se si può dare ancora credito ai sondaggi, è a capo di un piccolo partito che, domani, in un nuovo Parlamento, servirebbe come stampella ad una maggioranza, non come puntello. Probabilmente Renzi, sia pure ostacolato dall'ego che straborda in ogni sua dichiarazione, ora si rende conto che non può tornare indietro, avendo portato la contesa alla fase finale. Ma, allo stesso modo, dovrebbe riflettere sull'immagine che lui e Italia Viva danno all'esterno, con una Teresa Bellanova che, stracciando l'idea bonaria che la gente si era fatta di lei, non conoscendo affatto le asprezze del suo carattere, spesso lo scavalca. A destra o sinistra, questo è tutto ancora da capire.
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