L'ironia fa brutti scherzi nel terreno scivoloso del politicamente corretto

- di: Bianca Balvani
 
Da anni, ormai, due elementi disturbatori della quiete apparente della cultura contemporanea si aggirano senza che qualcuno sappia porvi rimedio.
Stiamo parlando del politicamente corretto (la cui sostanza varia a seconda di chi se ne fa sostenitore pro tempore) e della cancel culture, che cerca di riscrivere la storia o darne una visione diversa da quella ufficiale, con il fine ultimo di colpire questo o quello.
Sono facce della stessa medaglia, che cerca di dare di eventi o persone l'immagine più funzionale alle idee del ''revisore'' che, a differenza di Savonarola, difficilmente paga di persona quando cade negli eccessi.
Per questo, concedendo comunque il beneficio del dubbio, è il caso di segnalare il contenuto di un articolo, pubblicato domenica sul Corriere della Sera, che ha preso spunto dalla lettera con cui Nando Dalla Chiesa ha segnalato, dolendosene, che, tra i cocktail proposti da un bar che si trova a poca distanza di via Palestro (teatro di una strage di mafia trent'anni fa), ve n'è uno chiamato ''il Padrino''.

L'ironia fa brutti scherzi nel terreno scivoloso del politicamente corretto

Le rimostranze, miste ad amarezza, del figlio del generale Dalla Chiesa sono condivisibili. Ma lo sono un po' come a leggere la replica del titolare del bar in questione, secondo il quale la nascita del cocktail risalirebbe al 1970, anno da quando viene proposto in tutto il mondo, con tanto di certificazione ufficiale dell'associazione internazionale dei bartender.
Ma questo è l'antefatto, perché il cuore del nostro ragionare di sofferma su un altro passaggio dell'articolo, quello che, per accrescere il mood (oggi si dice così...) il giornalista ha tirato in ballo un liquore, con un accostamento che ci pare, più che fuor di luogo, assolutamente spericolato.

Laddove, prima di parlare del cocktail ''Il padrino'', dice ''passi per l'Amaro del Capo'', come se la denominazione di quest'ultimo liquore riecheggi gerarchie di associazioni o famiglie criminali; cose se, quando si parla di capi, si debba necessariamente pensare a un ruolo apicale nell'ambito di un gruppo di masnadieri, che si chiamavano nel secolo scorso.
Ora, non ergendoci a difensori di chicchessia (se lo dobbiamo fare, scegliamo cause ben più importanti), vorremmo solo puntare il dito su un certo modo di fare cronaca, che , cercando l'effetto e non la sostanza, fa accostamenti che non sempre sono esatti.

Perché quel ''capo'' dell'amaro non è una sorta di incomprensibile omaggio a padrini e consigliori, ma un riferimento a capo Vaticano, una delle località più affascinanti del Tirreno calabrese, tanto da essere effigiato nell'etichetta un po' naif, ma che ha voluto essere un omaggio alla bellezza.
Forse un pizzico di attenzione non sarebbe guastato: bastava dare un'occhiata sito del liquore (prodotto dalla Caffo, un gigante globale del settore, avendo espanso interessi e attività in tutto il mondo, e che ha sede proprio nel vibonese) per capire la genesi della denominazione.
Ma spesso la fretta impone ritmi di lavoro che poco si acconciano ad una giusta informazione. Anche quando, come ci pare sia stato il caso, si cerca di essere ironici e non si strappa nemmeno un sorrisetto di circostanza.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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