Cinque Stelle: fenomenologia di un suicidio politico

- di: Diego Minuti
 
Quando si parla di Cinque Stelle bisogna sempre avere in mente la funzione "reset", quella che azzera e fa ripartire qualcosa. Non è una boutade perché la marcia indietro dei vertici del movimento in relazione alla votazione sulla piattaforma Rousseau sul governo che Mario Draghi sta assemblando, per farlo partire prima possibile (per il bene supremo del Paese), è l'ennesima conferma che i Cinque Stelle sono in pieno caos. Ed il dramma è che almeno una parte del futuro e della eventuale buona riuscita del prossimo esecutivo è nelle mani di un movimento spaccato, in cui stanno emergendo varie anime che vanno ciascuna per conto suo, dimenticando che in gioco c'è l'Italia.

L'esegesi del movimento induce a pensare che niente avrebbe potuto andare altrimenti perché l'eterogenesi che lo contraddistingue da sempre (da quando, all'alba della sua nascita, imbarcò tutti coloro che possono essere catalogati come anti-sistema) è essa stessa origine delle mille contraddizioni.
La prima delle quali è che, come movimento, ha posto alla sua base il concetto di democrazia diretta, che, in tempi più recenti, si è tradotta nel ricorso a consultazioni sulla rete affidate ad una piattaforma di fatto gestita dalla Casaleggio, che rimane un soggetto esterno. Appena poche ore fa la piattaforma Rousseau avrebbe dovuto essere il terreno di confronto tra sostenitori ed avversatori del governo Draghi ed invece è stata per il momento accantonata, per timore che una votazione oggi potrebbe non andare nel senso voluto e sostenuto da Beppe Grillo.

Ma il punto non è solo questo perché ormai in seno ai Cinque Stelle convivono a stento delle anime che appena si sopportano, provenendo da punti diversi dal panorama ideologico. È evidente che la rivendicata "purezza" d'un tempo, portata avanti da chi magari era ministro e ora non lo è più (Lezzi, Toninelli, tanto per citare), diventa un'occasione per scalare, dall'interno, i vertici di un movimento che ormai ha definito una cabina di regia che non vuole rinunciare alle sue prerogative ed alle sue prebende. Si assiste quindi ad un continuo strattonarsi tra governisti e "rivoluzionari", in quest'ultima classificazione rientrando tutti coloro che hanno qualcosa da ridire, a prescindere da cosa si stia parlando. La levata di scudi contro l'ipotesi di appoggiare Draghi è conseguenza soprattutto della faciloneria con cui sono state formate le liste (e quindi gli eletti), nelle quali hanno fatto il loro ingresso persone impreparate ed animate solo dal loro entusiasmo, personaggi in cerca di notorietà o a caccia di quella perduta, impudenti frequentatori di filosofie di cui non conoscevano nemmeno il significato.

Oggi, grazie appunto a questo panorama, i Cinque Stelle sono divisi non dal punto di vista delle scelte, ma proprio per la loro composizione. C'è da chiedersi, infatti, come possano convivere, sotto uno stesso ombrello, persone che hanno avuto un'impronta marcata di sinistra ad altri che, ad esempio, celebrano l'esistenza di complotti planetari oppure, come pure è accaduto, fanno riferimento a falsi storici spacciati per atti d'accusa fondati contro una razza particolare. Nel calderone dei Cinque Stelle accade anche questo ed è imbarazzante pensare che, dalla resa dei conti al suo interno, possa dipendere l'appoggio a Mario Draghi. Ma tant'è e ora bisogna aspettare che il movimento prenda una posizione ufficiale che, a interpretare le "sparate" dei sostenitori del "fuori da tutto", potrebbe preludere ad una frammentazione non più per correnti, ma per formazioni politiche. Il che, a questo punto, induce a ricordare che in tutte le scissioni ad avere la peggio sono sempre stati coloro che se ne sono andati.
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