Casalino ubiquo in tv, invitato anche da chi lo criticava

- di: Diego Minuti
 
Ci fu un tempo - alcune ere geologiche addietro - in cui Silvio Berlusconi, attribuendosene i meriti, parlava ad ogni occasione del "miracolo italiano", quale che ne fosse il significato vero. Da quei giorni di miracoli l'Italia ne ha visti ben pochi, dal momento che, da troppi anni, il Paese vive il perdurare della crisi economica come qualcosa di irrisolvibile, con cui imparare a convivere. Ma bisogna pensare positivo, perché nelle ultime settimane di "miracolo italiano" c'è stato un nuovo esempio che ha un nome ed un cognome: Rocco Casalino.

Non avremmo mai pensato di doverci occupare del portavoce di Giuseppe Conte, nelle due diverse stagioni politiche di cui, con partner diversi, il professore è stato protagonista. Non lo avremmo mai pensato perché, al di là delle critiche che taluni spericolati comportamenti da comunicatore hanno ingenerato nei suoi naturali interlocutori (i giornalisti), bisogna ammettere che Casalino il suo mestiere lo ha saputo fare, nel senso che ha attirato sul suo protégé di palazzo Chigi tutte le attenzioni possibili, talvolta cadendo in eccessi che hanno rischiato l'incidente diplomatico, quando non la cafonaggine.

Ma l'uomo è questo e, avendo degli obiettivi, ha usato tutto il suo armamentario per raggiungerli. Però quanto accade in questi giorni ha veramente del sorprendente perché Casalino sta monopolizzando gli studi televisivi per la promozione della sua biografia. E lo sta facendo anche in trasmissioni condotte da giornalisti che, sino a ieri, ne hanno dette su di lui di tutti i colori e che ora invece, dimenticando le affermazioni di poco tempo fa, lo ospitano a tutte le ore e su tutti i canali.
Ma Casalino ha una grandissima dote: se si pone un traguardo lo persegue con una ferocia degna di merito, anche a costo di rischiare il ridicolo davanti ad intervistatori che sembrano porgli delle domande che più scontate non potrebbero essere e che, nelle conseguenti risposte, elevano lui a primadonna.

Non dovrebbe essere così, anche se ormai il giornalismo nostrano è sempre ad un passo dal cadere nella piaggeria. Che si traduce anche nel non porre le domande migliori, come avrebbe potuto essere quella sul tasso di presunzione messo in mostra per avere scelto, per la copertina del suo libro, una posa a metà tra il memoriale di Abraham Lincoln e il Kevin Spacey di "House of cards"
Rocco Casalino viene invitato da tutti e, con sprezzo del ridicolo, si è fatto intervistare persino da "Striscia la notizia" che, con tutto il rispetto, forse non è la platea più adatta per uno che si picca di essere un grande comunicatore. Ma lui va avanti per la sua strada, vantandosi che il suo libro abbia venduto più di quello di Obama, dal quale qualcosina lo divide, in termini di personaggio ed anche di contenuti, oltre che di "carriera".

A sentirlo parlare bene (come potrebbe essere altrimenti?) della sua opera letteraria, Casalino sembra trovarsi a suo agio, anche quando tocca argomenti scabrosi, che affronta con una certa ritrosia e che ripropongono uno stereotipo scontato (con alcune stagioni della sua vita caratterizzate dalla discriminazione, come emigrato prima e come gay dopo).
Ma la cosa su cui interrogarsi è a che titolo viene intervistato.
Da autore? Da portavoce dell'ex premier? Da esponente politico (partecipa, invitato, ai vertici dei Cinque Stelle)?
Non è un interrogativo da poco perché se lo si intervista come autore o anche come comunicatore può anche disquisire del più e del meno, ma se lo fa come estensione politica del suo ruolo ecco allora che qualche problema di natura etica c'è.

Così come c'è un altro interrogativo e riguarda il fatto che gli sia consentito di dire certe cose in assenza di contraddittorio. Ci spieghiamo: quando Casalino afferma - come ha fatto - che alcuni atteggiamenti critici tenuti nei suoi confronti da esponenti politici nazionali non erano ideologici o fondati su accuse contro il suo lavoro, ma generati da omofobia dice una cosa che, se vera, è grave.
Ma se questa cosa che ha sostenuto fosse non veritiera la cosa sarebbe allora gravissima perché appiccicherebbe l'etichetta di omofobo a chi magari lo criticava solo per certe sue disinvolte interpretazioni del ruolo di un portavoce che, come il titolo di un vecchio film, voleva farsi re.

Non sappiamo se l'accusa di averlo contestato non per le cose che faceva o diceva, ma per i suoi orientamenti sessuali (sempre che interessino a qualcuno) sia fondata. Ma, se così non fosse, sarebbe cosa che non può essere lasciata cadere tra le tante che si dicono quando si va a ruota libera. Il rispetto verso gli altri è un aspetto fondamentale di una convivenza che aspira ad essere civile. Ma non lo si può invocare a senso unico e forse, per dire certe cose, occorre avere di fronte le persone che si accusano. Ma ormai anche questo è un vecchio modo di fare giornalismo. Oggi quello che conta è l'effetto deflagrante delle dichiarazioni, con tanti saluti al diritto di esercitare la propria difesa.
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