I piccoli azionisti fanno la voce grossa, in Europa e in Giappone

- di: Redazione
 
Il titolo di un libro di successo, uscito da quella fucina di umorismo che è la premiata ditta Gino e Michele, è stato, anni fa, precursore di un nuovo indirizzo che sta prendendo forza nelle grandi società che traggono gran parte della propria forza soprattutto da un azionariato diffuso che, almeno sino ad oggi, si limitava a sperare di incassare dopo avere pagato.
Quindi se è vero che, come da titolo, "Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano", lo stesso accade tra gli azionisti di società che sino a ieri erano ricche, distribuendo lauti dividendi, mentre oggi sono in affanno, se non ad un passo dalla crisi profonda. Questo ingenera spesso degli interrogativi su come le società vengano guidate, sulla giustezza delle linee guida, sulla gestione dei conti - e la relativa trasparenza - e degli investimenti.

In Europa abbiamo assistito almeno ad un caso del genere, in Francia, ad opera di azionisti che incidevano solo con numeri ad una cifra nel capitale di Danone e che hanno chiesto ed ottenuto il ritiro delle deleghe legate al ruolo di amministratore delegato di Emmanuel Faber, poi rimosso anche da quella di presidente.
Una rivoluzione perché, in un certo senso, le perplessità di piccoli azionisti hanno convinto anche gli altri, i "grandi", ad accordarsi alle loro richieste.
Lo stesso - ovvero la rivolta dei "piccoli" - è accaduto in Giappone, dove il fondo singaporiano Effissimo, nel corso di una assemblea straordinaria di Toshiba ha ottenuto, tra la sorpresa di molti, l'istituzione di una commissione d'inchiesta sui contenuti e le conclusioni sull'ultima assise annuale del gruppo giapponese. Tra le cose che la commissione dovrebbe chiarire ci sono anche le procedure di voto seguite e che per il fondo singaporiano hanno ingenerato dubbi.

Per comprendere la portata di quanto accaduto, bisogna pensare che in Giappone è cosa a dir poco inusuale che un piccolo azionista abbia lo "spazio" per esprimere le sue valutazioni, ma è addirittura rarissimo che le sue richieste siano approvate dagli altri azionisti.
Come ha scritto Philippe Escande, editorialista economica de Le Monde, riferendosi a Toshiba, un'altra umiliazione per il samurai caduto, improvvisamente abbandonato dai suoi padroni. È abbastanza sorprendente quanto accaduto a Toshiba che, all'inizio del nuovo secolo, era un gigante planetario le cui attività spaziavano in molti campi ad alta tecnologia, e sempre con ottimi risultati economici. Basta pensare a quello che hanno significato le innovazioni targate Toshiba nel campo delle televisioni, dei dispositivi medici e dell'energia nucleare.

Un gigante però dallo scheletro inconsistente. Il primo colpo alla credibilità di Toshiba è stato, nel 2015, uno scandalo contabile che svelò la manipolazione dei profitti, gonfiati di oltre un miliardo di euro per quasi sette anni. Nel 2017 un'altra mazzata, con il crollo della sua controllata Westinghouse. L'11 aprile del 2017 Toshiba annunciò perdite per l'equivalente di 33 miliardi di euro, con un calo del 4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015, con una perdita netta di 4,6 miliardi di euro. Ma, e fu questo ad alimentare i dubbi manifestatisi ora, le cifre non furono certificate dalla società di revisione PrincewaterhouseCooper Aarata, che espresse forti dubbi sui veri problemi di Westinghouse.
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