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Maduro sfida Trump: attaccare il Venezuela è un suicidio

- di: Vittorio Massi
 
Maduro sfida Trump: attaccare il Venezuela è un suicidio
Maduro sfida Trump: attaccare il Venezuela è un suicidio
Caracas avverte Washington, apre al dialogo e definisce “irresponsabile” la presenza militare Usa nei Caraibi. Trinidad e Tobago smentisce qualsiasi supporto operativo agli Stati Uniti.

Un attacco armato contro il Venezuela? Per Nicolás Maduro (al centro nella foto) non sarebbe solo una catastrofe nazionale, ma un disastro politico per Donald Trump. Lo ha dichiarato nel suo programma televisivo settimanale, lanciando un messaggio diretto alla Casa Bianca e aprendo, allo stesso tempo, a un faccia a faccia con il presidente statunitense.

Washington mantiene invece una posizione volutamente ambigua: “non si esclude nulla”, ha ribadito Trump, alimentando lo spettro di un intervento militare nel Paese sudamericano. Sullo sfondo, manovre navali e attività militari statunitensi nel Caribe continuano a intensificarsi.

La crescita delle tensioni tra Washington e Caracas

Le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti, secondo cui nessuna opzione è da escludere, hanno riacceso le preoccupazioni nella regione. L’invio di forze Usa in varie zone strategiche dell’area caraibica viene interpretato da molti analisti come un messaggio diretto al governo venezuelano.

Per Maduro, questa mossa rappresenta una vera e propria minaccia alla sovranità nazionale. Nel suo discorso televisivo, ha ribadito che “non si può permettere che il popolo venezuelano venga bombardato e massacrato”, accusando gli Stati Uniti di voler destabilizzare l’intera regione.

Il caso Trinidad e Tobago: “Nessuna richiesta dagli Usa per attacchi al Venezuela”

Nel pieno della crescente tensione nel Caribe, il governo di Trinidad e Tobago ha voluto chiarire la propria posizione. Il primo ministro Kamla Persad-Bissessar, intervistato dall’Afp, ha dichiarato: “Gli Stati Uniti non hanno mai chiesto di utilizzare il nostro territorio per lanciare attacchi contro il popolo venezuelano. Il territorio di Trinidad e Tobago non verrà utilizzato per lanciare attacchi contro il popolo venezuelano”.

Le sue parole arrivano mentre un contingente di Marines statunitensi sta conducendo esercitazioni nel Paese insulare, situato a poche miglia dalle coste venezuelane. Si tratta di manovre che il presidente Maduro ha definito “irresponsabili”, sostenendo che il dispiegamento statunitense nel Caribe costituisca “una minaccia reale alla sicurezza regionale”.

Pur essendo un alleato di Washington, il governo di Port of Spain ha voluto ribadire pubblicamente di non essere coinvolto in alcun piano operativo diretto contro Caracas. Le ormai frequenti esercitazioni nella regione alimentano comunque timori di escalation involontarie e sospetti su una possibile preparazione logistica per operazioni più ampie.

Maduro tra sfida e apertura: la strategia del doppio binario

Nel suo programma televisivo “Con Maduro+”, il presidente venezuelano ha tracciato una linea netta: da un lato attribuisce agli Stati Uniti l’intenzione di destabilizzare il Paese; dall’altro, si mostra disponibile al dialogo diretto. “Chiunque voglia dialogare troverà in noi persone di parola, persone perbene e con esperienza per guidare il Venezuela”, ha affermato, puntando a presentarsi come interlocutore legittimo sullo scenario internazionale.

Ma la sua arma retorica più forte arriva quando parla di un’eventuale offensiva armata: secondo Maduro, un attacco segnerebbe “la fine politica” di Donald Trump, trasformando lo scontro in un boomerang per la Casa Bianca.

I rischi di una guerra per Washington: costi politici altissimi

Per Trump, un intervento militare in Venezuela sarebbe un passo estremamente rischioso. La promessa di evitare nuove guerre ha rappresentato una parte significativa della sua immagine politica, e una missione militare in America Latina potrebbe dividerne la base elettorale.

Sul terreno, inoltre, il Venezuela non sarebbe un teatro semplice: forze armate fedeli al governo, milizie, apparati di sicurezza interni e una geografia complessa renderebbero ogni operazione lenta, costosa e imprevedibile.

Petrolio, sanzioni e crisi: la lunga ombra che pesa su Caracas

Da anni le relazioni tra i due Paesi sono segnate da sanzioni, accuse e contrapposizioni diplomatiche. Il Venezuela, pur disponendo di una delle maggiori riserve di petrolio al mondo, è schiacciato da crollo produttivo, inflazione e crisi umanitaria.

Le sanzioni statunitensi hanno colpito duramente i settori strategici, mentre il flusso migratorio verso i Paesi vicini continua a crescere. Milioni di venezuelani hanno lasciato il Paese negli ultimi anni, con ripercussioni sociali e politiche in tutta la regione.

Tre possibili scenari: escalation, stallo o negoziato

Gli sviluppi più probabili, nel breve periodo, sembrano convergere su tre vie:

  • Escalation controllata: gli Stati Uniti mantengono la pressione e aumentano la presenza militare nel Caribe, senza però superare la soglia dell’attacco diretto.
  • Stallo prolungato: la crisi continua, con sanzioni e tensioni senza un’evoluzione concreta sul piano politico.
  • Negoziato forzato: un mix di pressioni interne e internazionali potrebbe spingere Caracas a valutare una trattativa strutturata con Washington.

In attesa di sviluppi, resta una certezza: a pagare il prezzo più alto è ancora una volta la popolazione venezuelana, schiacciata tra crisi economica, sanzioni, manovre militari e l’incognita di un possibile conflitto.

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