L'arresto dei terroristi italiani in Francia sana una ferita vecchia di quasi 40 anni

- di: Diego Minuti
 
Gli arresti di terroristi 'rossi' (poco sposta la definizione di ''ex'', a fronte di sentenze passate in giudicato) italiani che da decenni avevano trovato riparo in Francia pone fine ad una pagina che, dal punto di vista giuridico, è stata orrenda e, da quello politico, un'offesa al nostro ordinamento giudiziario.
Alla base c'è stata la cosiddetta 'dottrina Mitterand' (definizione imperfetta, trattandosi piuttosto di un indirizzo, peraltro seguito anche da altri governi francesi), che lo stesso presidente francese spiegò, il 21 aprile del 1985, partecipando ad un congresso della Lega dei diritti umani: ''I rifugiati italiani che hanno preso parte ad azioni terroristiche prima del 1981 (.....) hanno rotto i legami con la macchina infernale a cui hanno partecipato, hanno iniziato una seconda fase della loro vita, si sono integrati nella società francese''.

Una dichiarazione che, anche a distanza di quasi quarant'anni, appare come incomprensibile, basandosi non su una valutazione di quello di cui i terroristi erano accusati e dall'esito dei relativi processi cui - sebbene in contumacia - essi erano stati sottoposti, ma su un afflato ideologico che, ieri come oggi, appare in netto contrasto con qualsiasi ordinamento giuridico degno di tale nome. Eppure François Mitterand andò avanti, aprendo le porte della Francia a uomini e donne che, attraversando il confine, non s'erano nemmeno lavate le mani ancora sporche di sangue di innocenti.
Ma quella del presidente francese fu una linea politica non fatta valere 'urbi et orbi', ma quasi esclusivamente solo nei confronti dell'Italia e di quelle persone che la nostra giustizia aveva giudicato e ritenuto colpevoli di qualcosa. La spiegazione potrebbe essere trovata nella convenienza che Parigi - ancora alle prese con l'effimero fenomeno di Action directe - aveva di neutralizzare, con la benevolenza ed il perdono, il preoccupante potenziale proselitismo che i terroristi italiani, a causa della profonda ideologia che li connotava, potevano innescare in Francia. Prova ne è che altri terroristi, nello stesso periodo storico (come i tedeschi della Rote armee fraktion e i nordirlandesi dell'Ira) non ebbero eguale benevolo trattamento.

Diverso il discorso dei separatisti baschi che, agendo a cavallo del confine franco-spagnolo, in quella che viene chiamata Euskadi, erano un problema diretto per Parigi.
Il pensiero di Mitterand non è mai stato accettato da tutti i francesi, che non sempre hanno condiviso questa 'dottrina' ritenendola una indebita ingerenza in casa altrui. Gilles Martinet, giornalista e uomo politico, scrisse in proposito: ''Non potendo fare la rivoluzione nel proprio Paese, si continua a sognarla altrove. Continua il bisogno di provare a sé stessi di essere sempre di sinistra e di non essersi allontanati da un ideale''.

Resta comunque difficile da capire come mai la Francia ci abbia messo tanto a comportarsi, nei confronti dell'Italia, con il rispetto che il nostro Paese merita.
Sarebbe bastato dare applicazione a quanto scrisse la Corte di cassazione francese, quando si espresse sulla richiesta di estradizione nei confronti di Cesare Battisti (che, per scampare all'arresto, cominciò la sua latitanza in Sud America): ''...indipendentemente dal fatto che non è di competenza del giudice francese ergersi a censore della procedura praticata davanti alle giurisdizioni straniere, si conviene di sottolineare che il sistema procedurale italiano è vicino a quello applicato in Francia, che è sottoposto alle medesime regole convenzionali, e specialmente a quelle sull'estradizione e alle condizioni richieste per lo svolgimento di un processo equo che hanno egualmente valore costituzionale in Italia''.
Che ci siano voluti quasi vent'anni per recepire questo che non è un semplice parere è questione che non attiene la giustizia, ma la politica.
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