A.p.s.p., intervista a Maurizio Pimpinella

 

Formazione e informazione fattori cruciali per vivere (e vincere) nel nuovo mondo del capitalismo digitale


Nel 2020 A.p.s.p., fino a giugno 2017 denominata A.i.i.p (Associazione italiana istituti di pagamento e di moneta elettronica), festeggia i suoi primi dieci anni, nei quali ha svolto la mission cruciale di favorire lo sviluppo, l’informazione e la conoscenza della moneta elettronica e più in generale di tutti i prestatori di servizi di pagamento, promuovendo l’attività di carattere culturale ad essi connessa. Il decennale di A.p.s.p. cade in un momento storico di grande portata, in pieno ‘big bang’ per lo sviluppo della moneta elettronica e più in generale per i servizi di pagamento, con una rivoluzione che riguarda anche i suoi attori.

Cosa sta avvenendo, Presidente Pimpinella, e quale ruolo sta svolgendo A.p.s.p. in questo scenario che si sta facendo tumultuoso? Quali sono oggi i soci di A.p.s.p.?
In effetti, il nostro decennale cade in un momento particolarmente significativo.
Quando abbiamo iniziato, il mondo che oggi viviamo quotidianamente era solo immaginabile. Secondo molti eravamo dei folli, ma avevamo intuito gli effetti che la dirompenza del digitale avrebbe avuto soprattutto nel settore bancario, economico e finanziario fino ad influenzare la nostra società sotto ogni aspetto.
Le direttive PSD1 e PSD2 hanno permesso l’emersione di nuovi soggetti dando loro una cornice normativa all’interno della quale esprimere le loro capacità innovative. Per fare un esempio, quando abbiamo iniziato, Facebook viveva la sua epoca d’oro ed era poco più di un social network e WhatsApp - nata come semplice app di messaggistica - era stata appena creata. Oggi, invece, entrambe sono piattaforme facenti capo allo stesso Gruppo, una progetta (ormai da tempo) la propria valuta digitale e l’altra ha avviato un sistema di pagamenti. Dieci anni fa poi, fintech e neobank come Revolut o N26, o nuovi soggetti come Amazon, Google e Apple Pay non erano nemmeno nei progetti dei loro creatori.
Questo è un settore in continua evoluzione e riesce a farne parte solo chi è in grado di anticiparne le mosse e adeguarsi al cambiamento, una norma che vale sia per le persone sia per le imprese.
Il ruolo della nostra Associazione, quindi, è quello di rimanere costantemente al passo coi tempi e, quando possibile, addirittura anticiparli. Il nostro ruolo istituzionale ma anche tecnico ci consente di essere un osservatorio privilegiato nel panorama economico internazionale e nazionale. Non solo le imprese nostre associate (come può vedere anche dal nostro sito www.apsp.it) rappresentano le eccellenze del mondo della tecnologia e dei pagamenti, consentendoci di essere la più grande associazione europea del settore, ma noi stessi in quanto associazione siamo membri fondatori della Payments Europe e associati a Confindustria Digitale.
Oltre al ruolo tecnico ed istituzionale, l’A.P.S.P. ha nel suo DNA la formazione e l’informazione per imprese e cittadini. L’Associazione, infatti, offre formazione su tutto il territorio nazionale a imprese e professionisti nell’ambito della trasformazione digitale declinata in vari ambiti tra cui l’energia, la sanità, i trasporti, il turismo, lo sport, la sicurezza cibernetica, la Pubblica Amministrazione e, chiaramente, il settore finanziario ed economico affrontato sotto una prospettiva etica e sostenibile.
Professionisti e associazioni di categoria sono tra i nostri partner formativi preferiti. Abbiamo svolto decine di giornate di formazione per l’ordine degli avvocati e dei commercialisti di Roma.
La formazione di imprese e professionisti è al centro di particolari iniziative, anche accademiche, e ciò ci ha permesso la realizzazione di una importante sinergia con Federmanager, la più grande associazione di manager in Italia, con cui faremo una serie di corsi, dedicati ai loro associati, su tutto il territorio italiano e relativi al digitale, ai pagamenti elettronici e agli scenari evolutivi, tutte materie con cui i manager dovranno confrontarsi sempre di più.

In un articolo dal titolo “La rivoluzione digitale alla conquista del mondo” Lei ha scritto che “dall’Africa all’Asia i mobile payments stanno avviando in tutti i continenti cambiamenti mai visti prima e una nuova rete di business. L’Europa, Italia compresa, può essere il fulcro equilibratore”. Cosa intende per ‘fulcro equilibratore’ e perché Italia ed Europa possono svolgere questo ruolo? 
La fase politico - economica che stiamo vivendo in questo momento è particolarmente fragile. I conflitti economici, politici, commerciali e, soprattutto, tecnologici, sono all’ordine del giorno. In questo scenario, Stati Uniti e Cina sono i principali protagonisti della contesa ma ritengo che l’Europa possa essere sia dal punto di vista geografico sia da quello politico e tecnologico il punto d’equilibrio tra queste due potenze. Non è un caso, ad esempio, che proprio in queste settimane sia stata proposta dalla Commissione UE un’ambiziosa strategia su digitale e intelligenza artificiale, tesa proprio a competere a livello globale. Inoltre, la Brexit apre un nuovo scenario in Europa in cui l’Italia - se ne sarà in grado - potrà tornare ad essere protagonista facendo valere le molte eccellenze di cui disponiamo.

Cosa sta producendo la Direttiva Ue del 2015, nota come Psd2, come sta cambiando lo scenario nel mercato dei pagamenti e, più in generale, nel mercato finanziario? Qual è la situazione italiana? Come le banche italiane stanno affrontando questa rivoluzione, visto che a breve i grandi operatori tecnologici che hanno ottenuto la licenza di moneta elettronica in vari Paesi europei potranno fornire i loro servizi in tutta l’Ue, ponendosi in aperta concorrenza con gli operatori tradizionali del settore bancario?
La Psd2 ha fornito una cornice giuridica al mondo fintech legittimando la nascita di nuovi operatori che prestano servizi di pagamento come principale modello di business. Una vera e propria rivoluzione che ha consentito ai payments services di acquistare una centralità nel mercato mai avuta prima, passando da attività marginale delle banche a protagonista del nuovo scenario competitivo. In Italia si nota un leggero ritardo. Gli effetti della direttiva cominceranno a dispiegarsi nella seconda metà dell’anno, con le grandi banche che devono far fronte a cambiamenti di struttura e clientela che non proprio tutti sembrano ancora aver compreso pienamente. L’impeto della concorrenza è forte, con le Big Tech che possono fare affidamento su volumi di clientela che difficilmente risultano contrastabili. Per poter continuare a rimanere nello stesso campo da gioco, gli operatori nazionali devono poter aggregare le singole potenzialità di ciascuno all’interno di un quadro legislativo che possa rilanciare e non limitare le imprese. Serve, da parte di tutti, uno sforzo che sia mirato a convergere verso un Sistema Paese che garantisca interoperabilità e user friendly, solo in questo modo possiamo sperare di riuscire a competere con questi colossi.

Lei ha scritto che “è stata la contemporanea emersione della normativa sull’open banking e la disponibilità di avanzate tecnologie abilitanti a rendere possibile la nascita di un nuovo ecosistema economico-finanziario e dei pagamenti”. In questo cambio radicale di paradigma quali sono i principali vantaggi per cittadini e imprese? Come prevede sarà tra cinque anni il sistema dei pagamenti?
I benefici emersi dal nuovo paradigma economico - finanziario si possono racchiudere essenzialmente in due parole: semplicità e trasparenza. Sia cittadini che imprese, infatti, possono beneficiare di servizi più facili ed immediati e di una trasparenza nel loro utilizzo che non avevano mai provato prima d’ora. Inoltre, i servizi offerti godono di una sicurezza quasi assoluta, il che può favorire lo sviluppo dell’economia. Tra dieci anni il mondo dei pagamenti sarà ancora più digitale di oggi. I pagamenti elettronici non sono una scelta o un’eventualità, sono una certezza ed è quindi normale pensare che gli indicatori sulla cashless society saranno migliorati anche da noi. Inoltre, è molto probabile che ci sarà un forte avvicinamento della componente biologica a quella tecnologica soprattutto per soddisfare la costante necessità di sicurezza.

Questo nuovo ecosistema sta comportando, e comporterà sempre di più, ingenti investimenti da parte di tutti gli operatori in termini di digitalizzazione. Prevede, per quanto riguarda il settore bancario, che ciò comporterà non solo in Italia, ma un po’ in tutta Europa, un forte processo di aggregazione per aumentare le masse critiche e sostenere così questi investimenti?
La tendenza è questa. Il settore bancario - così come quello dei pagamenti - si sta indirizzando verso la costituzione di una serie di grandi campioni in grado di rivaleggiare tra loro ai massimi livelli. È questa, ad esempio, la strada percorsa da Ingenico e Worldline o quella cui andrebbero incontro SIA e Nexi qualora arrivasse davvero la fusione di cui si parla da tempo. Tra le banche, la fusione potrebbe essere un’opzione percorribile per competere con gli operatori più importanti. La BCE, infatti, potrebbe rivedere in senso meno restrittivo la propria posizione in merito alle operazioni di aggregazione tra istituti bancari.
Le principali motivazioni alla base di questo cambio di orientamento risiedono nella constatazione che istituti di credito più grandi potrebbero affrontare in modo più efficace le sfide derivanti dalla politica dei tassi d’interesse negativi, dalla competizione internazionale con gli istituti americani e asiatici e contribuire positivamente alla crescita economica dei Paesi dell’area Euro.

Fintech investe ogni segmento dei mercati dei servizi bancari e finanziari, ne modifica la struttura attraverso l’ingresso di start-up tecnologiche, dei giganti della tecnologia informatica e dei social media, soprattutto di quelli raggruppati con l’acronimo Gafaa (Google, Apple, Facebook, Amazon, Alibaba). Quale scenario a suo parere prevarrà nella relazione di aziende Fintech con le banche, quello di collaborazione o piuttosto di competizione senza esclusione di colpi? Cosa è emerso finora su questo fronte?
È evidente che il fintech abbia avuto un impatto sconvolgente su un settore che da tempo aveva trovato una stabilità strutturale. La recente ricerca a firma di S&P Global Ratings “Tech disruption in retail banking: italian banks not adapting to the digital world quickly will be left behind” ci dice che nel rapporto tra fintech e banche o queste ultime si adeguano oppure sono destinate a subirne le conseguenze in termini di perdita di competitività. Fino a pochi anni fa, ad esempio, i servizi di pagamento erano offerti per lo più dal sistema bancario, oggi lo scenario è profondamente mutato, con molti operatori che offrono numerosi servizi personalizzati. Il pericolo, oggi, è che le imprese fintech possano erodere quel capitale relazionale su cui le banche fondano attualmente il loro ridotto vantaggio competitivo. Tuttavia, il fenomeno che si sta manifestando più di recente è quello dell’avvicinamento tra start-up fintech e banche tradizionali, entrambe minacciate dai colossi tecnologici che dispongono di capitali umani ed economici quasi infiniti e di una straordinaria capacità di elaborazione dati.

La rivoluzione digitale significa economia dei dati e questa oggi è concentrata nelle mani di alcuni grandi player - ad esempio Facebook, Netflix, Uber, Alibaba - alcuni dei quali hanno anche lanciato servizi innovativi in ambito finanziario, come ApplePay, Alipay e WeChat. Giganti che stanno conquistando il mercato grazie alla loro capacità di industrializzare il processo di apprendimento delle abitudini degli utenti e gestire i big data. C’è il rischio di nuovi oligopoli, cartelli e quant’altro? Potrebbe essere questo il volto ‘demoniaco’ della rivoluzione in atto, che di per sé certamente sta generando e genererà nuova ricchezza?
Il valore dei dati aumenta col crescere della varietà e della quantità e ciò ha portato ad un ripensamento dei modelli di business per massimizzare il ricavato.
Il capitalismo digitale è il capitalismo del XXI Secolo come evidenziano il ruolo delle imprese tecnologiche alla Borsa di New York. Non è un mistero, infatti, che le imprese over the top sfruttino i big data per personalizzare prodotti e offerte e trarne guadagno. Siamo entrati in una nuova fase economica in cui il prodotto siamo noi, o meglio i nostri dati adeguatamente spacchettati ed elaborati.

Lei ha pubblicato un libro dal titolo molto intrigante: “Italia digitale, dalla Lira alla Libra costruire il ponte per il futuro”. Un volume ‘in divenire’ che sottolinea l’importanza della trasformazione digitale, lo sviluppo e la competitività dell’Italia all’interno del più ampio contesto europeo. Come è messo ad oggi Il Paese in questa situazione cruciale? In tale ambito, si ha il timore che la sfida del nuovo ecosistema economico-finanziario sia arrivata ma che l’Italia e gli italiani in generale presentino un certo ritardo culturale nell’approcciarsi a tali tematiche, comprese quelle relative ai pagamenti digitali. Quali azioni sarebbero necessarie per superare con una certa rapidità questo ritardo? C’è la convinzione che saranno proprio i pagamenti a farci colmare questo gap, è d’accordo con questa affermazione?
Per quanto riguarda la digitalizzazione del nostro Paese, siamo ancora a metà del guado. L’Italia deve recuperare ancora molte posizioni ma le iniziative intraprese negli ultimi mesi iniziano a mostrare i primi effetti positivi. L’Italia è, infatti, il Paese che sta crescendo più velocemente rispetto al resto d’Europa: il nostro punteggio complessivo sul Desi è migliorato di 5 punti (da 38,9 nel 2018 a 43,9 nel 2019), contro i 2,7 punti della media europea. Nessun altro paese ha registrato una crescita più elevata di quella Italiana.
I pagamenti elettronici sono poi uno strumento abilitante all’economia digitale. Entrano in ogni nuovo processo economico, basti pensare al cibo a domicilio, alla mobilità condivisa, alla prenotazione di un hotel, non possiamo più fare a meno del digitale e dei pagamenti elettronici che ci aprono la porta di questo mondo. Per questo, per non far sentire i cittadini stranieri in casa propria, l’unico modo è fare formazione e informazione ad ogni livello, piazza per piazza, porta per porta in modo che ciascuno degli italiani sia cittadino a tutti gli effetti.

Facciamo un esempio concreto. Facebook ha annunciato che sta sviluppando una sua criptovaluta virtuale, denominata Libra, che verrà lanciata insieme a un grande ecosistema finanziario che la porterà a diventare una moneta globale. È un’opportunità o (anche) un pericolo?
Per prima cosa, dobbiamo verificare se il progetto andrà in porto, visti i problemi che Libra ha avuto. Non a caso per Zuckerberg c’è stato il ritorno su WhatsApp Pay. Forse le recenti difficoltà di Libra hanno accelerato il progetto, ma non penso che le due iniziative siano così strettamente legate. D’altra parte, Facebook possiede già una licenza bancaria in Irlanda e tramite WhatsApp Pay non fa altro che sfruttarla. WhatsApp Pay - che è un progetto ad oggi più concreto di Libra - sarebbe in grado di creare un nuovo e accattivante modello di business, di facile utilizzo per i più giovani (tendenzialmente non bancarizzati) ma non solo.

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