Era un annuncio che tutti si aspettavano e il mercato (azionario, che è, in fondo, quello che conta) lo ha celebrato facendo toccare al titolo della Mela i massimi, con un balzo percentuale che ha fatto capire quale sarà il prossimo percorso della casa di Cupertino.
Ma, quando si parla di Intelligenza artificiale e delle sue applicazioni (reali o possibili), il sentiero si fa stretto tra il potere attrattivo delle nuova tecnologia e come essa possa impattare su uno dei pochi terreni personali che quest'epoca ci lascia: il nostro privato, le nostre attività, le nostre scelte personali, buone o cattive che siano.
Apple ci "regala" l'AI, ma che prezzo siamo disposti a pagare in termini di privacy?
Ora che l'Intelligenza artificiale diventi parte integrante e importante dei nostri dispositivi personali, a cominciare dagli smartphone, è nella logica delle cose perché in fondo è questo che ogni passo delle nuove tecnologie prevede, abbandonare il generale per interagire con il particolare.
Ovvero con l'utente, quello che, se chiama l'amico, la mamma, l'amante, il cliente, pensa di limitare la conversazione a due. Ma da oggi (non considerando gli strumenti che possono controllare il traffico telefonico e di dati del singolo cittadino sospettato di qualcosa) tutto sarà sotto la ipotetica spada di Damocle dell'intercettazione, non necessariamente a fini illeciti, ma in ogni caso potenzialmente in grado di riferire domani, tra un mese o tra anni, se oggi io sia andato in ufficio direttamente o mi sono fermato per un caffè o ''altro'' di cui magari dovere rendere conto.
Un panorama, tanto per cadere nei luoghi comuni, da ''grande fratello''?
No, perché già ci siamo, solo che, infilando l'Ai in strumenti che utilizziamo centinaia di volte al giorno, spesso compulsivamente, diamo alla ''macchina'' gli strumenti di verificare i nostri gesti fisici, ma anche di scandagliare i nostri pensieri, magari anche quelli inconfessabili.
Stiamo esagerando? Non necessariamente.
Riprendiamo, solo per aiutare chi ha la pazienza di leggerci, quel che ha detto Craig Federighi, vicepresidente responsabile dell’area software di Apple. Per lui l'idea base del progetto legato all'intelligenza artificiale è, citiamo testualmente, quella di una ''personal intelligence. Il ruolo dell’AI non è di sostituire l’utente ma di aiutarlo. E per questo dev'essere integrata nell'esperienza quotidiana, dev'essere intuitiva e deve conoscerti bene. Questa visione risponde alla missione di Apple di capire come queste grandi trasformazioni tecnologiche possano poi essere utili nella nostra quotidianità''.
Quindi è di questo che stiamo parlando: di qualcosa che ci segua passo dopo passo nelle nostre giornate, quale che sia il modo in cui vogliamo che esse si svolgano. Che poi questo ci sia d'aiuto è un discorso tutto da verificare perché ci costringerebbe, ammettiamolo, a escludere l'utilizzo dell'iPhone nel caso in cui vogliamo tenere solo per noi le nostre conversazioni, i nostri spostamenti o anche solo se preferiamo la pizza al sushi.
Certo: Apple ci tiene a dire che preservare la privacy del cliente/utente/cittadino è in cima alle sue priorità.
Ma non è che ci rassicuri molto sapere che, quotidianamente, i nostri dati personali sono saccheggiati da società telematiche che poi li vendono a chi ha interesse a conoscere i nostri gusti e le nostre preferenze.
Comunque, da ignoranti della materia (tecnica, per fortuna non di quella etica), un modo per allontanare il pericolo che il nostro smartphone diventi un guardiano delle nostre vite, un Cerbero 3.0, ci sarebbe. Anzi c'è proprio: acquistare un dispositivo che non abbia l'AI tra le sue dotazioni.
Non stiamo esagerando, né ci sentiamo come i luddisti che, all'alba dell'800, temendo che la rivoluzione industriale spazzasse la classe operaia, andavano in giro, per la Gran Bretagna dell'epoca, a fare a pezzi i telai meccanici.
Diciamo che se in gioco c'è il nostro diritto a dire, pensare e fare quel che ci aggrada, possiamo anche restare con un iPhone di vecchia generazione.