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Perché il turismo non basta a risollevare l’Italia

- di: Jole Rosati
 
Perché il turismo non basta a risollevare l’Italia
Turismo in Italia: perché non alza produttività e salari
Il turismo incanta e porta numeri da record, ma non alza la produttività né i salari: senza industrie innovative e settori ad alto valore aggiunto, l’Italia resta ferma.

Turismo, mito italiano da ridimensionare

Ogni estate il ritornello è lo stesso: il turismo è il “petrolio” d’Italia. Politici, osservatori, associazioni di categoria ripetono che il settore rappresenterebbe la colonna portante del nostro sviluppo. Eppure, i numeri raccontano una storia diversa. Nell’ultimo episodio di Lavoce in mezz’ora, il nuovo format di divulgazione economica, Riccardo Trezzi, economista e professore all’Università di Pavia, ha demolito il mito con dati e comparazioni impietose.

Secondo il conto satellite del turismo, strumento ufficiale elaborato dall’Istat e armonizzato da Eurostat, il contributo reale del settore al valore aggiunto italiano è appena sopra il 6 % del totale nazionale, non il 13 o addirittura il 18 % spesso citati nei discorsi politici. Una quota che, pur rilevante, resta lontanissima dall’immagine di “motore unico” dell’economia.

Un settore che cresce senza trainare

Che il turismo sia vitale per molte aree del Paese è indubbio. Basti pensare alle città d’arte, alla Riviera romagnola, al Lago di Como o alle coste sarde. Secondo dati aggiornati, nel 2023 si sono registrati oltre 134 milioni di arrivi e più di 450 milioni di presenze, numeri mai toccati prima. Eppure questa crescita non si è tradotta in maggiore benessere diffuso.

I profitti degli operatori e i prezzi delle strutture ricettive sono saliti ben oltre l’inflazione, ma i lavoratori del settore hanno visto retribuzioni ferme o addirittura in calo in termini reali. Come ricorda Trezzi: “Nel comparto alberghiero i contratti collettivi sono rimasti congelati per quasi dieci anni, e il rinnovo del 2024 non ha nemmeno compensato l’inflazione pregressa.”

Il risultato? Potere d’acquisto ridotto e una platea di lavoratori stagionali o precari che non beneficia minimamente del boom di arrivi.

Produttività ferma da secoli

Il cuore del problema sta nella produttività. “Un cameriere del 2025 serve lo stesso numero di tavoli di un cameriere del Settecento,” osserva Trezzi con una battuta che centra il punto. Nei settori a forte contenuto tecnologico la produttività per ora lavorata cresce di anno in anno: i computer di oggi fanno in pochi secondi ciò che trenta anni fa richiedeva ore. Nei servizi tradizionali legati al turismo, invece, il salto tecnologico è minimo.

E non si tratta di un difetto italiano: è un limite intrinseco al settore. Tuttavia, in Italia pesa di più perché la nostra struttura economica continua a spostare forza lavoro da comparti manifatturieri in difficoltà a settori a bassa produttività, invece che verso i servizi avanzati. È il fenomeno che gli economisti chiamano “misallocazione delle risorse”.

Confronto internazionale: perché gli Usa corrono

Il paragone con gli Stati Uniti è istruttivo. Anche lì esistono ristoranti e hotel con la stessa produttività dei nostri. Ma quando il ristoratore della Silicon Valley apre la porta, si trova clienti con un potere d’acquisto altissimo, che pagano un piatto di pasta come una cena di lusso a Roma. Questo effetto di “trascinamento” dei settori tecnologici ricchi non si verifica in Italia, dove la specializzazione produttiva resta schiacciata sui comparti a basso valore aggiunto.

Non è un caso che nei paesi più avanzati – Lussemburgo e Svizzera in testa – il turismo rappresenti appena l’1–2 % del valore aggiunto nazionale. Sono economie trainate da finanza, servizi digitali, biotecnologie. Al contrario, nelle economie in via di sviluppo, il turismo pesa molto di più: segno che, senza settori innovativi, resta spesso l’unico bene da esportare.

Il nodo dei salari

La fotografia dei redditi è impietosa. Secondo i dati Istat, i lavoratori della ristorazione e degli hotel percepiscono in media 16 euro lordi all’ora, con il 90° percentile – i più pagati del settore – che non raggiunge comunque la media nazionale. Nei comparti finanziari o assicurativi si arriva invece a oltre 40 euro l’ora.

In altre parole, anche chi “sta meglio” nel turismo in Italia resta peggio retribuito di chi lavora in settori avanzati. Una forbice che nel tempo tende ad allargarsi, perché solo i comparti ad alta tecnologia riescono a sostenere la crescita dei salari.

L’illusione dell’esclusività

Si potrebbe obiettare: e se puntassimo tutto sul lusso e sull’esclusività? Un hotel a cinque stelle in Costa Smeralda, un ristorante con vista mozzafiato, un’esperienza irripetibile come guidare una Ferrari. La strategia può funzionare su piccola scala, ma presenta due limiti evidenti. Primo: non è replicabile ovunque. Se ogni stabilimento balneare della Riviera diventasse esclusivo, perderebbe la sua unicità. Secondo: è una strada inflattiva, che fa crescere i prezzi ma non redistribuisce benefici ai lavoratori né all’economia nel complesso.

I costi nascosti

Oltre alla questione produttività, c’è quella delle esternalità negative. L’“overtourism” affolla città come Venezia, Firenze o Roma, con costi sociali e ambientali enormi: inquinamento, congestione, degrado dei centri storici. A luglio 2025, il Comune di Venezia ha introdotto per la prima volta un biglietto di ingresso di 5 euro per i visitatori giornalieri, proprio per contenere un fenomeno ormai insostenibile. Una misura simbolica, ma che fotografa il peso delle ricadute.

Un Paese che rischia di restare fermo

Il turismo, dunque, resta importante ma non può essere il pilastro su cui costruire la crescita di lungo periodo. Come sintetizza Trezzi: “Se continuiamo a spostare capitale e lavoratori tra settori a bassa produttività, non potremo mai alzare i salari né la crescita complessiva.”

La lezione è chiara: senza investimenti nei settori “verdi” – digitalizzazione, ricerca, manifattura avanzata – l’Italia rischia di restare inchiodata a un modello economico che genera occupazione stagionale e bassi redditi, ma non sviluppo.

Turismo sì, ma non come unica carta

Il turismo è un pezzo importante del mosaico italiano. Porta ricchezza in alcune zone, dà visibilità internazionale, valorizza patrimonio artistico e paesaggi. Ma non basta, e soprattutto non può essere spacciato come “petrolio nazionale”. Il Paese ha bisogno di un mix diverso: settori innovativi, capitale umano qualificato, politiche industriali di lungo respiro.

In altre parole, se vogliamo davvero crescere, il futuro non può essere affidato solo al fascino delle nostre spiagge o delle nostre città d’arte. Serve un’Italia capace di creare valore nuovo, non solo di vendere quello che la natura e la storia ci hanno lasciato.

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