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Perché i divieti U.S.A. sull’AI non fermeranno la Cina, secondo Altman

- di: Bruno Coletta
 
Perché i divieti U.S.A. sull’AI non fermeranno la Cina, secondo Altman
Altman avverte: combattere Pechino solo con chip non basta—tra smarrimenti, accordi fiscali e un mercato nero fiorente, la sfida è ben più profonda.

Il vero nodo della sfida AI

Sam Altman (Foto), CEO di OpenAI, in un’intervista di agosto 2025 ha lanciato un avvertimento netto: sottovalutare i progressi cinesi nell’intelligenza artificiale è un errore serio. Le misure statunitensi, come i controlli all’export dei chip AI, non bastano a rallentare Pechino. “Sono preoccupato per la Cina […] c’è inferenza, ricerca, prodotto; di livelli ce ne sono tanti”, ha dichiarato Altman. Alla domanda se limitare l’arrivo delle GPU in Cina fosse rassicurante, ha risposto: “Il mio istinto è che non funziona”, ha aggiunto Altman.

Secondo Xiang Ligang, direttore dell’Information Consumption Alliance di Pechino, la lettura di Altman è “sobria e più realistica” rispetto a toni eccessivamente semplicistici diffusi in molti ambienti statunitensi.

I chip H20: da cavallo di Troia a fonte di tensione

L’amministrazione U.S.A. ha imposto nel 2025 un bando sull’esportazione dei chip AI avanzati, introducendo poi alcune deroghe. Il chip H20 di NVIDIA, progettato per rientrare nelle maglie dei “China-safe chips”, è stato autorizzato alla vendita in Cina. In cambio, però, i produttori hanno dovuto accettare un meccanismo di versamento del 15% dei ricavi generati in Cina al governo statunitense per ottenere le licenze.

La reazione di Pechino a dichiarazioni giudicate “insultanti” da parte di esponenti U.S.A. ha spinto le autorità a sconsigliare l’acquisto di questi chip, soprattutto per le infrastrutture governative, al punto da costringere NVIDIA a sospendere parte della produzione dell’H20.

Il mercato nero che non si ferma

Nonostante i divieti, prospera un mercato parallelo. Stime credibili indicano che nel secondo trimestre 2025 siano stati contrabbandati in Cina chip NVIDIA per almeno 1 miliardo di dollari. A circolare illegalmente non sarebbe solo il B200 della generazione Blackwell, ma anche H100, H200 e 5090.

Per aggirare i controlli sono nati data center plug-and-play, costruiti con rack preassemblati e pronti all’uso: un segnale inequivocabile che le barriere tecnologiche diventano stimolo a rotte alternative.

Oltre i chip: serbatoi nascosti, potenza invisibile

L’efficacia dei controlli appare limitata anche nel lungo termine. Analisi accademiche indicano come la Cina stia compensando il gap hardware con ottimizzazioni software e strategie di efficienza, riducendo l’efficacia di politiche basate sul solo hardware. In sintesi: non è solo una gara a “chi ha i chip migliori?”, ma a chi sa usare meglio anche chip meno potenti.

Punto per punto: la partita non si gioca solo in USA

  • Controlli sulle esportazioni — Inadeguati e facilmente aggirabili.
  • Tassazione sull’hardware AI — Accordo U.S.A.–NVIDIA/AMD (15% sulle vendite in Cina).
  • Contrabbando — Fenomeno massiccio: miliardi di dollari di chip in Cina.
  • Produzione cinese domestica — Accelerata da pressione politica e commerciale.
  • Soft-ottimizzazione AI — Rende meno rilevante il gap di compute puro.

Illusione costosa e inefficace

È chiaro che scoraggiare la Cina solo con sanzioni hardware è un’illusione costosa e inefficace. Altman ha ragione: l’AI è una partita a più mani, che si gioca su infrastrutture, ricerca, algoritmi e strategia, non solo sul transito delle GPU. Se vuoi davvero capire la sfida USA–Cina nell’AI, devi guardare l’intero film, non solo una scena.

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