Tutti pazzi per il microchip: dal fai da te ai nuovi impianti europei

- di: Barbara Bizzarri
 
Sono lontani i tempi in cui era sufficiente microchippare il cane o il gatto. Adesso tocca a noi, con modica spesa (soltanto 199 euro: come è umano lei ) e controllo eterno finché morte non ci separi da questa valle di lacrime: certo, è comodo pagare tutto porgendo la manina e sarebbe ancora più comodo per chi come me ha una memoria da pesce rosso e lotta quotidianamente con l’alloggiamento vero e presunto di chiavi, documenti, soldi eccetera però questa totale mancanza di privacy è destabilizzante, e non mi si venga a dire che con i social è lo stesso quando sono pieni di Tony Montana e Beatrix Kiddo e chi ci piazza nome e cognome autentici quasi sempre nella maggior parte dei casi  ha un prodotto da vendere, da se stesso in poi, fosse anche la parvenza di una vita appagante. Intanto, l’azienda anglopolacca Walletmor, produttrice del feticcio, ha spiegato che, appena impiantato nella mano e collegato il chip a un conto in banca, sono possibili transazioni immediate contactless, sfruttando la tipologia di tecnologia Nfc. Lo strumento non solo favorisce l’eliminazione del denaro contante, ma compie anche un altro passo verso una trasformazione post umana che rende l’uomo indipendente da strumenti esterni trasformandosi egli stesso in uno strumento: sicuri che si tratti di una notizia di cui gioire e non una resa definitiva? L’amministratore delegato di Walletmor Wojtek Paprota afferma: “L’impianto può essere utilizzato per pagare un drink sulla spiaggia di Rio, un caffè a New York, un taglio di capelli a Parigi, oppure presso il supermercato del posto”: l’ultima opzione mi sembra la più realista, specialmente in Italia e non è detto che duri. In ogni caso il servizio di Walletmor si limita alla vendita del dispositivo, mentre l’installazione sottocutanea è a carico dell’acquirente.

I peana sulla funzionalità del servizio sono supportati da una notizia che sembra correlata a questa novità tanto glam a prezzo modico, presentata come una facilitazione (si deve anche pagare per averla con la scusa che ci rende la vita migliore, è davvero un mondo meraviglioso) e di cui finora sono stati venduti ottocento pezzi dalla primavera del 2021: è annuncio recente che la Germania e l’Italia sono gli unici Paesi rimasti in lizza per un investimento da parte di un’azienda di Taiwan per produrre microchip, per ora di esclusivo uso industriale. Nelle ultime settimane, alcuni rappresentanti di Taiwan hanno avviato contatti preliminari con il governo di Roma in vista della costruzione di una fabbrica di microchip in Europa. L’investimento andrebbe in parallelo a progetti simili già in corso in Giappone e in Arizona e sarebbe opera della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, la prima impresa al mondo nel settore e la nona più grande per valore di mercato subito con una capitalizzazione di circa 470 miliardi di dollari.  La Germania può offrire la densità industriale dell’intera economia e la disponibilità di forza lavoro qualificata, tuttavia i contatti con il governo di Berlino sono in fase di stallo, mentre a Taiwan si valuta anche l’opzione italiana, che mette sul piatto un’ubicazione della nuova fabbrica nei distretti manifatturieri fra Lombardia e Veneto, un’elevata domanda di semiconduttori per macchine utensili, la vicinanza di centri universitari con i quali avviare programmi di formazione, la disponibilità di manodopera qualificata a costi inferiori alla Germania e una minore concorrenza proprio nel settore dei microchip. Tsmc punta a un investimento da circa dieci miliardi di euro, con la creazione fra un massimo di cinquemila e un minimo di tremila posti di lavoro diretti (senza contare l’indotto).

Contemporaneamente, negli ultimi mesi è stato raggiunto un accordo di principio perché Intel coinvolga anche l’Italia in investimenti per 80 miliardi di dollari per la produzione dei microchip di tipo più avanzato in Europa. Il gruppo americano deve però ancora definire la regione nella quale sarà ubicato l’impianto italiano, che peraltro non sarà di produzione ma solo di taglio e packaging, mentre Tsmc intende invece riunire l’intera filiera, tuttavia dev’essere ancora trovato un terreno comune su alcuni dettagli consistenti: Intel infatti chiede ai governi e al bilancio di Bruxelles una compartecipazione elevata all’investimento in Europa, così come Tsmc. Nel caso del gruppo americano la quota di sussidi sembra essere fra il 40% e il 50% dell’investimento finale, anche se non è stata comunicata alcuna cifra ufficiale. Allo stesso modo Tsmc potrebbe chiedere al governo ospitante una compartecipazione al 50%. Quindi, per vincere questa gara di attrattività tecnologica l’Italia o la Germania dovrebbero essere disposte a sussidiare il gruppo di Taiwan con cinque miliardi. Gli aiuti di Stato nel settore dei semiconduttori sono oggi possibili, dopo il varo in febbraio di una misura europea, il Chips Act, che li autorizza per favorire l’autonomia strategica dell’Europa nelle filiere più importanti ed è su questo che sta facendo leva l’americana Intel per radicarsi in Germania, Francia, Italia e Irlanda. Le regole di Bruxelles impongono però che il rilascio dei sussidi soltanto se i progetti sui semiconduttori siano first of a kind, mentre Tsmc programma di produrre in Europa non i microchip più avanzati quanto quelli fra i dieci e i venti nanometri, che non sono necessariamente primi nel loro genere e dunque forse non sussidiabili. La partita è aperta e richiederà parecchi negoziati, oltre al coraggio da parte del governo italiano di dispiacere alla Cina offrendo un’apertura a Taiwan.  Staremo a vedere gli sviluppi della partita, però, parafrasando Einstein, sorge il dubbio di tornare al baratto fra qualche decennio. La tecnologia troppo invadente e pervasiva potrebbe essere una nuova forma di schiavitù che a causa della nostra hybris ancora non riusciamo a focalizzare.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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