Tribunali, nel 2020 -30% di nuove procedure fallimentari

 
L’osservatorio Cherry Sea analizza l’impatto della pandemia sui tribunali fallimentari. «Moratorie hanno congelato molti fallimenti, ma lockdown ha impedito ai tribunali di velocizzare i tempi della giustizia».

 Un 2020 a due facce per la giustizia fallimentare italiana: nell’anno della pandemia, se da un lato i fallimenti sono diminuiti, dall’altro i tribunali sono riusciti a ridurre solo in minima parte le procedure che giacciono nei cassetti. Questa la fotografia scattata da Cherry Sea, l’osservatorio di Cherry srl - società che sviluppa algoritmi di intelligenza artificiale applicati al mondo del credito deteriorato - che tramite i portali del Ministero della Giustizia ha realizzato un’analisi sui dati relativi a tutti i fallimenti registrati nei 140 tribunali italiani nel corso del 2020.

Nel 2020 sono state “solo” 7500 le nuove procedure fallimentari aperte in Italia, oltre il 30% in meno rispetto al dato del 2019, quando se ne registrarono 11.000: un calo concentrato, in particolare, nel periodo compreso tra marzo e giugno 2020, durante il quale i tribunali sono rimasti chiusi al pubblico per effetto del lockdown e le pratiche aperte sono state 1379, circa il 75% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Nonostante un minore afflusso di nuovo lavoro, i tribunali hanno potuto intervenire in maniera scarsamente efficace sullo stock di pratiche che, al 31 dicembre 2019, erano 83.000 e che, un anno dopo, sono 77.000, con una variazione di appena -7%.

Il rapporto tra pratiche aperte e chiuse - Tra i 20 tribunali più attivi, che nel 2020 hanno accolto complessivamente il 50% del totale delle nuove procedure, Milano e Roma, primo e secondo tribunale d’Italia per numero di pratiche aperte, hanno registrato rispettivamente 665 e 458 fallimenti, con un calo del 35% e del 49% rispetto ai dati del 2019. Il tribunale che, invece, presenta la minor variazione percentuale, è Padova, dove nel 2020 sono state iscritte 162 procedure, il 12% in meno dell’anno precedente. In virtù di una ridotta mole di lavoro in ingresso, tutti i venti tribunali in esame sono riusciti a chiudere nell’anno più pratiche di quante ne venissero aperte, con un tasso di smaltimento (tecnicamente Clearance Rate, parametro che misura il rapporto percentuale tra numero di procedimenti conclusi e aperti in un anno) che mediamente si è attestato al 174%: per un confronto con il passato, basti pensare che nel 2019 un tribunale su quattro presentava un Clearance Rate inferiore al 100%.

Rispetto al 2019 diminuiscono pratiche aperte, ma anche quelle chiuse - Nonostante l’alto tasso di smaltimento medio, la pandemia ha impattato profondamente sull’efficienza dei tribunali e infatti solo tre tra i venti presi in esame sono riusciti a chiudere nel 2020 più procedimenti di quanti ne avessero conclusi l’anno precedente: Verona, Catania e Padova hanno definito rispettivamente il 40%, il 30% e il 4% di procedure in più rispetto al 2019, mentre Treviso e Bergamo si sono mantenuti sugli standard passati. Mediamente nel 2020 i tribunali italiani hanno chiuso rispetto all’anno precedente oltre il 10% in meno delle pratiche, con gli estremi di Monza (-40%), Torino (-35%) e Genova (-32%).

Procedure pendenti, lo stock fatica a diminuire - Monza si posiziona anche all’ultimo posto della classifica dei tribunali che hanno ridotto in percentuale minore il proprio stock di procedure. Il tribunale lombardo nel 2020 ha inciso su appena il 2% delle pratiche pendenti, stesso risultato di Cagliari e Bari, che pure nel corso dell’anno hanno aperto il 40% di pratiche in meno. Le performance migliori, invece, sono state registrate da Palermo, Treviso e Modena, tribunali accomunati da una diminuzione delle nuove procedure pari al 25%, che hanno sfruttato questa opportunità per ridurre i propri stock di una percentuale compresa tra il 14 e il 13%. Modena, inoltre, risulta essere il tribunale italiano con il minor numero di procedure pendenti (762), preceduto solo da Genova (722). Gli stock più consistenti persistono a Roma e Milano, che ad oggi presentano rispettivamente 4905 e 4788 pratiche ferme, diminuite in entrambi i casi del 5% rispetto al 2019.

I tempi della giustizia - La pandemia, infine, rischia di influire profondamente sui tempi della giustizia di alcuni tribunali. Per offrire una stima della durata dei procedimenti, è stata utilizzata la metrica del Disposition Time (DT), già adottata dalla CEPEJ (Commissione europea per l'efficienza della giustizia), che può essere interpretata come il tempo necessario per smaltire i procedimenti pendenti alla fine di un dato anno. La media del DT dei primi venti tribunali italiani è pari a 5,77 anni, in leggero aumento rispetto al valore del 2019 (5,33). Alla fine del 2020 il tribunale che presenta il miglior DT è Modena (3,39), mentre il valore più alto è quello di Bari (12,69). Rispetto al 2019, tuttavia, hanno diminuito il proprio DT solo 8 tribunali tra i primi 20, con Verona in particolare che ha “velocizzato” i suoi tempi di oltre il 30% (da 7,21 a 4,74). Tra i tribunali che invece hanno reagito meno efficacemente alla pandemia c’è Monza, il cui DT nell’ultimo anno è aumentato di oltre il 60%, da 5 a 8,17 anni.

«La pandemia ha avuto un impatto determinante sulle procedure fallimentari – osserva Giovanni Bossi, founder di Cherry srl – da un lato il regime di moratoria, introdotto a marzo dello scorso anno, ha permesso di “congelare” alcuni fallimenti, dall’altro il lockdown e la conseguente chiusura dei tribunali non hanno permesso di alleggerire il carico di procedure che grava sul sistema. Se, sulla base di quanto proposto nel Def dal Consiglio dei Ministri, la scadenza delle moratorie sarà prorogata a fine anno, è auspicabile che in questi mesi si possano velocizzare le procedure. Altrimenti, una volta venuti meno gli strumenti di sostegno, i tribunali si troveranno ad affrontare un’improvvisa ondata di nuovi fallimenti, le cui dimensioni non sono ancora emerse in tutta la loro evidenza».
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