Stupro di Palermo: segnali di "resipiscenza" aprono le porte del carcere a uno dei violentatori

- di: Bianca Balvani
 
Come avrebbe detto Massimo Troisi, "mo me lo segno proprio", perché potremmo ritrovarcela davanti la giustificazione grazie alla quale uno dei ragazzi che, a Palermo, hanno violentato una diciannovenne, è stato scarcerato dal giudice del Tribunale dei Minori. Il ragazzo, che ha ammesso lo stupro di gruppo, pur cercando comprensibilmente di alleggerire la sua posizione, è stato tolto dal carcere e affidato ad una comunità per minori problematici perché, a giudizio del magistrato, ha mostrato segnali di ''resipiscenza''. Parola che, secondo la Treccani, deve intendersi come 'il rinsavire e il ravvedersi, riconoscendo l’errore in cui si è caduti, tornando al retto operare''. 

Si sa che l'animo umano è un labirinto di sensazioni, che si manifestano e inducono a comportamenti diversi per intensità e tempi. C'è comunque da restare folgorati nel vedere che, nel giro di pochi giorni e senza che questo abbia indotto il magistrato a nutrire dubbi sulla sua sincerità, uno dei violentatori, che hanno stuprato una giovane con modalità indegne del genere umano, abbia mostrato un tale pentimento e una tale consapevolezza dell'obbrobrio di cui s'è reso compartecipe da meritarsi la libertà, sia pure condizionata dallo stare in una comunità protetta.

Partendo sempre dal presupposto che ogni magistrato agisce nel rispetto della legge e in piena coscienza, crediamo sia naturale chiedersi se, alla fine, l'autoaccusarsi di un crimine così spregevole e del quale c'era l'esatta percezione in termini di gravità non possa essere stato un modo per alleggerire la propria posizione processuale, precostituendosi l'immagine del pentito della prima ora.

Restiamo comunque nell'attesa di capire se, alla base della decisione del giudice del tribunale dei minori, ci siano elementi la cui conoscenza oggi ci viene negata. Ma qualche considerazione bisogna pure farla, per comprendere, noi e il resto della gente dotata di cervello e cuore, come sia possibile concedere la libertà - che è un beneficio in casi come questi, di chiara e ammessa responsabilità - appena mostrando segnali di ravvedimento, preceduto dalla consapevolezza del delitto di cui ci si è macchiati. Dobbiamo avere fiducia nel giudice e nella sua capacità di valutazione,  ma l'episodio cui il ragazzo ha ammesso di avere partecipato ha generato un tale orrore nell'opinione pubblica da rendere incomprensibile la decisione di scarcerarlo. 
Anche perché, leggendo i dialoghi social tra questi campioni della violenza di gruppo appena poche ore dopo l'episodio, non è che tutto questo pentimento sia emerso.

Anzi se c'è una cosa che è venuta fuori è stata la voglia di farla pagare alla vittima per il fatto di avere denunciato quanto subito. Come se lei dovesse essere quasi grata del brivido che le è stato fatto provare subendo violenze da due, tre, cinque, sette suoi coetanei o quasi. E se questo orrore non bastasse, c'è quello generato da alcuni commenti, sempre sui social, in cui la vittima viene descritta come la vera registra dell'accaduto, una donna assetata di sesso. E poco importa se del gruppo ne conosceva solo uno, il vero carnefice di questa orribile vicenda.  La procura ha impugnato la decisione del giudice, ritenendola evidentemente inadeguata alla gravità dell'accaduto. Ma la decisione della scarcerazione resta, come restato gli interrogativi.
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