Speciale Quirinale: vincitori e vinti

- di: Redazione
 
Mentre Sergio Mattarella vede davanti a sé giorni complicati (non per la rielezione, ma per dovere riaprire gli scatoloni che ne avevano ufficializzato l'uscita dal Quirinale e che erano stati già portati nella casa presa in affitto nella Capitale), gli italiani giudicano il comportamento della classe politica, e il loro giudizio potrebbe non essere positivo per tutti.

Il primo vincitore è senza dubbio Sergio Mattarella, richiamato a furore di popolo a tornare al Quirinale da dove aveva fortissimamente voluto andare via. Non gli è stato concesso, non per la logica dell' ''usato sicuro'',  ma essenzialmente perché la sua presenza nei sette anni di mandato è stata rassicurante e, soprattutto, è stata garanzia che la Costituzione fosse rispettata da tutti. Non sappiamo se in cuor suo Mattarella considera a termine il nuovo mandato (da giurista non lo può fare), ma c'è da stare sicuri che i canoni seguiti nel settennato - anche quando qualche neofita della politica ne reclamava l'impeachment, mostrando spregiudicatezza, avventatezza e, soprattutto, ignoranza - sono di garanzia per tutti anche per il futuro. 

Di vinti ce ne sono parecchi

Il primo, per distacco, è Matteo Salvini, che pagherà un prezzo altissimo per il peccato di superbia nel quale è caduto, nella partita del Quirinale, pensando di potere dare lui le carte, pescandole da un mazzo truccato. Non per mancanza di onestà, ci mancherebbe altro, ma perché ha pensato di potere imporre a tutti - a cominciare dai suoi alleati - la sua linea, i suoi candidati. Una scelta che è stata politicamente sbagliata e che peserà sul futuro di Salvini e forse anche della Lega, che dovrà interrogarsi sul suo capo, che non ne imbrocca una da tempo immemorabile. 

Con lui, nella casella degli sconfitti, con un asterisco per la parola ''Belloni'', c'è Giuseppe Conte che ha confermato la sua impalpabilità politica, accodandosi a Salvini nell'indicazione del capo dei nostri servizi segreti, per poi ritrovarsi in un angolo per la posizione avversa (ma soprattutto determinante) di Luigi Di Maio. 

Giuseppe Conte è così: non si può dire nulla sulla sua onestà, ma deve ancora mangiare tanto pane e politica per contare veramente, in ossequio alla buona norma di parlare solo quando si conosce la materia. E un consiglio, a lui che è un parvenu della politica: quando parla, dica almeno qualcosa. 

Enrico Letta si potrebbe inserire tra i vincitori, ma il suo apparente distacco dalle cose di questo mondo sembrano proiettarlo in un universo di cui sfuggono gli obiettivi. Davanti a certe distorsioni della politica il suo aplomb sembra stonare, ma non gli si può certo chiedere di cambiare un atteggiamento, figlio di cultura ed educazione. Forse lo spettacolo sconclusionato messo in piedi da Salvini (e quindi anche Conte, nella vicenda Belloni) gli ha consigliato che la linea migliore era quello di lasciare il capo leghista strangolarsi con le sue mani. Cosa che è accaduta, quindi ha avuto ragione lui. 

Giorgia Meloni vive una condizione strana perché se ha, insieme agli altri del centrodestra, fallito l'obiettivo di portare al Quirinale un candidato di area, gli è stato inaspettatamente consegnato un successo a futura memoria, segnando prima le differenze, poi il distacco da un alleato in totale confusione al punto da inseguire le sempre pericolose sirene dell'autoreferenzialità, letali in politica. 

Di Forza Italia, sinceramente, non si riesce ad individuare l'uomo o la donna simbolo. Il partito, sotto shock per la vicenda della candidatura di Berlusconi, sembra avere perso il filo e, sino a quando non farà ordine al suo interno, resterà in balia di  lotte clandestine, gigli magici, badanti. 

E poi c'è Matteo Renzi che vince sempre, qualsiasi cosa dica o faccia. Almeno questa è l'impressione che offre sempre di sè. Beato lui. 
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