Pictet AM - USA: ritorno al soft-landing?

- di: Andrea Delitala, Head of Investment Advisory di Pictet Asset Management
 
Nei mesi scorsi si prospettava uno scenario a cavallo tra un "soft landing" e un "no landing" per l’economia USA. Tuttavia, nelle ultime settimane, si è osservata una moderazione dei dati sull'inflazione e un rallentamento della crescita economica, che stanno orientando le aspettative verso il primo dei due, con un rientro dell'inflazione e una crescita a ridosso del potenziale (1,8%), per ora escludendo una recessione. Questo contesto è positivo per le performance dei mercati, che dal 2022 sono stati caratterizzati da una preoccupante volatilità nel settore obbligazionario, con ripercussioni sul mercato azionario. Tale fenomeno (shock di correlazione) si è verificato in autunno 2023 e nuovamente ad aprile di quest'anno. Del resto, i mercati sono reattivi al flusso di informazione macroeconomica poiché, in assenza di linee guida della Banca Centrale, tendono ad incorporare le novità su inflazione e crescita, riflettendole rapidamente sui tassi d'interesse attesi, consapevoli che la BC ‘data dependent’, prenderà le sue decisioni sulla base di questi indicatori.

Tagli in vista

La Federal Reserve non ha una chiara visibilità del ciclo economico in cui ci si trova: avendo portato i tassi a livelli ritenuti fortemente restrittivi, esclude ulteriori rialzi ma ha finora rimandato l’avvio dei ribassi, che ci attendiamo per settembre, seguito da almeno un ulteriore 1% di riduzione entro fine 2025. Questo contesto comporta un rischio di errore nella politica monetaria, poiché gli strumenti di intervento della Fed richiedono solitamente dai 12 ai 18 mesi per manifestare i loro effetti. Il pericolo è di intervenire troppo tardi, soprattutto se il rallentamento economico fosse repentino. Il presidente della Fed, Jerome Powell, nonostante una comunicazione a volte complessa, sta adottando la condotta appropriata: ha evitato di spingersi troppo oltre con l'aumento dei tassi di interesse e monitora con estrema attenzione le dinamiche del mercato del lavoro, in quanto da queste dipende l’andamento dei salari, e quindi l’inflazione nel settore dei servizi. La componente post-pandemica (beni) dovuta all’interruzione delle catene di fornitura si è normalizzata.

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il rapporto tra posti di lavoro vacanti e offerta di lavoro sta diminuendo, indicando una minore pressione sul mercato. Si prevede di raggiungere un livello di equilibrio di un posto di lavoro per ogni persona in cerca, rispetto ai periodi in cui questo rapporto era di due a uno. L'immigrazione ha giocato un ruolo cruciale in questa dinamica: il numero di lavoratori immigrati è aumentato di tre milioni rispetto ai livelli pre-COVID, mentre i lavoratori residenti hanno recuperato i livelli occupazionali pre-pandemici. Un'eventuale nuova presidenza di Donald Trump, con una politica meno favorevole all'immigrazione, rappresenterebbe un rischio, poiché ostacolerebbe un fenomeno che sta contribuendo al processo disinflazionistico. Una caratteristica ragguardevole dell’economia USA è la buona dinamica della produttività: consente il recupero di potere d'acquisto (salari reali in aumento), tornati a crescere dopo il periodo di sofferenza dovuto al COVID, ma anche un miglioramento degli utili aziendali, il che legittima l'ottima performance del mercato azionario.

Un aspetto problematico, che interessa tutte le banche centrali a livello globale, è la determinazione del cosiddetto tasso di interesse ‘naturale’ (R-Star), ovvero il livello di equilibrio di medio periodo dei tassi di interesse a breve termine, compatibili con un'economia al suo potenziale (e inflazione a target), una volta che gli shock temporanei lato offerta o domanda aggregata siano cessati. Inizialmente fissato al 2,5% nominale per gli USA, le previsioni lo hanno recentemente spostato al 2,8%. Tuttavia, il mercato si è spostato molto più in avanti, limitandosi a prevedere due tagli dei tassi quest'anno, seguiti da una pausa, con un possibile punto di caduta a tre anni al 3,5% (mentre per l'Europa si stima al 2,5%). È interessante notare che un mercato che preveda un terminal rate al 3,5% offre un cuscinetto, limitando il rischio di shock negativi alle obbligazioni governative. Ciononostante, i bond rimangono volatili e soggetti all'esito delle elezioni presidenziali, oltre che all'incertezza su R-Star.

Implicazioni per mercati e portafogli

Le ultime settimane di luglio hanno visto una rotazione di mercato, caratterizzata da una presa di profitto sulle large cap del Nasdaq a favore del Russell 2000, che ha registrato un differenziale di performance di quasi 20 punti percentuali. Il catalizzatore di questo movimento è stato il dato sul CPI sotto le attese, che rende plausibile un taglio del costo del denaro a settembre, e il rischio politico legato alla possibile rielezione di Trump, che favorirebbe il processo di reindustrializzazione, dal quale le small cap domestiche trarrebbero grande beneficio. La stagione delle trimestrali USA sarà il banco di prova decisivo. Per il settore IT, le attese sono state ricondotte su livelli più ragionevoli ma restano elevate; sarà particolarmente importante ottenere riscontri sul ciclo di capex, in forte espansione negli ultimi trimestri, e sul ritorno atteso sugli investimenti.

Nel corso delle ultime settimane, abbiamo diminuito il beta complessivo delle strategie che gestiamo per far fronte a questo rischio. Sul fronte settoriale, abbiamo ridotto l’allocazione al settore IT per riallocare sui titoli finanziari USA, che beneficiano di una fase favorevole del ciclo degli utili e di un previsto alleggerimento regolamentare. La compressione degli earnings yield (o espansione dei multipli) ha eroso il premio al rischio per l'investimento in azioni. Questo riflette una persistente fiducia nella capacità delle grandi aziende di mantenere una redditività prospettica. In definitiva, le aspettative sono per una performance dei mercati ancora positiva da qui alla fine dell'anno, con l’appuntamento elettorale che potrebbe però generare episodi di volatilità, soprattutto in alcuni segmenti del mercato azionario.

Sul fronte obbligazionario, la rinuncia del presidente Biden alla corsa per la presidenza e l’avvicendamento con la vicepresidente in carica Kamala Harris ha riportato la corsa per le elezioni in equilibrio, consentendo al mercato obbligazionario americano di stabilizzarsi riprezzando, in parte, i timori inflazionistici, tariffari e geopolitici di una seconda presidenza Trump. Sul fronte monetario, dati positivi sull’inflazione – Core PCE due decimali sotto le attese per il mese di giugno – confermano la forte probabilità di un primo taglio della FED a settembre con aspettative di un secondo taglio entro fine anno.

In Europa, i dati più recenti, in particolare quelli tedeschi – PMI manufatturieri nuovamente in caduta libera – e lo stallo del governo francese non solo rimettono in discussione una possibile ripresa economica Europea auspicata solo pochi mesi addietro, ma insinuano il timore di una possibile recessione nell’area Euro, a maggior ragione nell’ipotesi di una possibile presidenza Trump. I tassi a breve dell’eurozona registrano questo rischio riprezzando, durante il mese di luglio, ulteriori 40 punti base di tagli della BCE da qui a 2 anni. Nelle ultime settimane abbiamo incrementato, al margine, la durata finanziaria del portafoglio.
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