Ofi Invest AM: Le nostre prospettive di crescita per USA e UE nel 2023

- di: Ombretta Signori, Head of Macroeconomic Research and Strategy di Ofi Invest AM
 
Registrando una crescita dell’1,1% su base annua nel primo trimestre, l’economia degli Stati Uniti ha dato prova di essere sorprendentemente robusta. Il motivo di questo balzo è quasi interamente attribuibile ai consumi delle famiglie, che a gennaio hanno registrato un picco. Tuttavia, è necessario prestare attenzione a questo parametro in quanto, da allora, la sua spinta è andata affievolendosi e avrà meno vigore nel corso del secondo trimestre. Inoltre, sebbene il tasso di risparmio sia ancora su livelli inferiori al periodo pre-pandemia (era al 7,5% tra il 2015 e il 2019), rispetto alla scorsa estate è risalito costantemente, arrivando al 5,1% lo scorso marzo. Se a questo si aggiunge che il contributo degli investimenti privati alla crescita è quasi nullo e che gli investimenti corporate risentono di condizioni finanziarie peggiori rispetto al passato, non si sorprenderebbe assistere a una riduzione più marcata della domanda interna, come gli indicatori sul ciclo economico sembrano suggerire.

Un altro fattore da monitorare attentamente è il dibattito sul tetto del debito statunitense. Il repubblicano Kevin McCarthy, speaker della Camera dei Rappresentanti, ha già presentato una proposta per alzarlo, in cambio di un limite più stringente alla spesa pubblica, ma questo è solo un primo passo per dei negoziati che si preannunciano molto più lunghi. Infatti come abbiamo imparato negli ultimi anni, la politica USA si è fatta sempre più polarizzata e questo ha portato le tempistiche delle discussioni su determinate questioni a prolungarsi considerevolmente, tanto da spingere Standard & Poor’s, nel 2011, a operare un downgrade del credito americano – da AAA a AA+ – dopo che repubblicani e democratici impiegarono troppo tempo per raggiungere un accordo. Questa operazione aumentò un aumento della spesa per l’indebitamento di 1,3 miliardi di dollari. Il tetto di 31,4 trilioni è stato raggiunto nel mese di gennaio e da allora il governo sta attuando una serie di “misure straordinarie” che gli permettano di non essere insolvente, sebbene il Dipartimento del Tesoro ritenga che possano essere interrotte entro giugno.

Rispetto agli Stati Uniti, la crescita nell’Area Euro nel primo trimestre è stata sicuramente molto meno vivace (pari allo 0,1%, ovvero +0,4% su base annua). Tuttavia, il fatto che si sia attestata su valori positivi è già una buona notizia, in quanto significa che la crisi energetica nel 2022, che è stata anche la più grave degli ultimi 40 anni, ha causato solamente una contrazione del Pil di lieve entità. Le ragioni alla base di ciò sono numerose, ma la principale è da riscontrarsi nelle politiche di stimolo finanziario adottate dalla maggior parte degli Stati Membri dell’Unione Europea a supporto di famiglie e imprese, sebbene una percentuale troppo ampia di questi aiuti (l’80% secondo la Banca Centrale Europea) non sia andata effettivamente agli enti più vulnerabili. Tuttavia, nonostante la crescita abbia segnato una ripresa, riteniamo che le sue performance resteranno comunque sotto le attese, a causa della politica monetaria aggressiva e da un’inflazione ancora alta che frena la domanda.

Restando in tema inflazione, questa sembra aver comunque raggiunto il picco sia negli USA, sia nell’Area Euro, dove è tornata rispettivamente attorno al 5% e al 7%, soprattutto a causa dei prezzi dell’energia. Tuttavia, la cosiddetta inflazione di fondo, un parametro più affidabile sulla durata degli effetti che questa avrà sui prezzi nel lungo periodo in quanto esclude le componenti più volatili (energia e generi alimentari), si sta dimostrando molto resistente e il suo livello dovrebbe restare alto almeno fino alla fine dell’anno. È necessario anche considerare che l’obiettivo del 2% negli Stati Uniti è incompatibile con la crescita media degli stipendi, sebbene questa non sia ai livelli del 2022, considerando che solo di recente si è innescato un processo di “catching up”. Questo significa che l’inflazione legata ai servizi, ovvero quella che più è correlata al livello dei salari, sarà probabilmente l’ultima a ridursi e sarà anche uno dei parametri che maggiormente guideranno la politica monetaria nei mesi a venire. Infatti, ci aspettiamo che questa sarà tenuta in forte considerazione nei prossimi meeting delle principali banche centrali; inoltre, prevediamo che una volta che i tassi d’interesse avranno raggiunto il loro picco, saranno mantenuti su quei livelli per il resto dell’anno. In particolare, visto il differenziale tra inflazione USA e EU, ci aspettiamo che la Bce continui con i rialzi fino a giugno o luglio, mentre la Fed dovrebbe mantenere la situazione com’è dopo l’ultimo incremento di 25 punti base.
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