L’ultimo viaggio di Elisabetta: perfezione e fascino di un rito antico

- di: Barbara Leone
 
Più di quattro miliardi di persone sparse in tutto il globo hanno seguito oggi il funerale di Elisabetta II. Numeri impressionanti, paradigmatici del bisogno che ha il mondi di simboli per ricongiungersi con una quotidianità frammentata e confusa. Un evento solenne e maestoso, nel senso letterale del termine. Il più seguito in assoluto nella storia della tv. E questo dovrebbe farci riflettere, proprio in virtù del fatto che la monarchia è una realtà lontana anni luce da tutti noi e che appare fortemente desueta. E però evidentemente conserva un fascino cui difficilmente ci si riesce a sottrarre. Che è poi il fascino dei riti antichi. Uno su tutti, personalmente il più emozionante: il momento in cui il ciambellano ha tolto da sopra la bara lo scettro, il globo e la corona, simboli d’una regalità tutta terrena che nulla ha a che vedere con l’aldilà.

E poi il cornamusiere della regina, che se ne va di spalle suonando una struggente melodia nel silenzio più totale. Ecco, lì sfido chiunque a non aver provato un brivido lungo la schiena. Perché comunque la si pensi è stata un personaggio immenso, e la cerimonia commuovente e unica. Semmai ce ne fosse bisogno la giornata di oggi ha dimostrato per l’ennesima volta quanto amata fosse la regina Elisabetta nel Regno Unito. Che era tutto lì, a rendere omaggio a colei che più che una sovrana era una “mum”. Così c’era scritto sul biglietto messo sulla bara da Carlo. Forse la prima cosa azzeccata che ha fatto il novello sire dopo un inizio di regno a dir poco impacciato, per usare un gentile eufemismo. Sarà dura per Carlo III. Che poi già il nome non promette bene, dal momento che a Carlo I gli inglesi hanno tagliato la testa e Carlo II passò alla storia per essersela data a gambe durante la peste e aver messo al mondo 12 figli illegittimi mai riconosciuti. Insomma, forse Camilla poteva consigliargli di scegliersi un altro nome oltre a calmargli i nervi per la penna rotta durante la cerimonia per la firma del libro dei visitatori al castello di Hillsborough. Fatto sta che già dopo pochi giorni sono in molti a rimpiangere Elisabetta II, sperando sotto sotto che egli decida di abdicare in favore del più giovane, simpatico e disinvolto William.

Ma è ovvio che non lo farà, del resto sono settant’anni che aspetta il suo momento. Oggi, però, è stato ancora il momento di sua madre. Il giorno di Elisabetta, quello più lungo e solenne, che fino alla fine ha dimostrato il suo valore. E lo ha fatto da morta, attraverso un funerale che la regina si era studiata in vita in ogni minimo dettaglio. Che, diciamolo, ci vuole pure sangue freddo (e non essere affatto superstiziosi) a prepararsi così bene le proprie esequie. Un funerale, quello della regina Elisabetta, che è stato perfetto sotto tutti i punti di vista. Tutto studiato e supervisionato nei minimi particolari da sua maestà in carne e ossa, con tanto di prove generali svoltesi chissà quando e nel riserbo più totale. Il risultato è stato uno spettacolo di una solennità mai vista, che restituisce tutta la forza di una regina che ha saputo rassicurare ed abbracciare il suo popolo proprio come una mum. Una vera e propria messa in scena shakespeariana, caratterizzata da una precisione e perfezione impressionanti: dalla sicurezza al percorso del corteo, dall’ordine delle file al raccoglimento dentro e fuori Westminster, dalla scelta dei salmi a quella delle musiche, dalle coreografie militari ai tempi scanditi dai passi che fendevano l’irreale silenzio che per tutto il giorno ha avvolto la capitale britannica. Quasi una magia, anacronistica quanto si vuole, ma pur sempre una magia. La verità è che oggi tutto il mondo ha potuto vedere qualcosa che non si ripeterà mai più nella storia. Non ha lasciato nulla al caso le regina Elisabetta. E chissà da lassù come si sarà compiaciuta nel vedere il suo ultimo viaggio esattamente come lo aveva pensato. L’unica nota stonata quel God save the king cantato alla fine. E lì pure il king in questione aveva i lucciconi agli occhi. Non ci abitueremo mai. Bye bye Lilibet.
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