Inflazione, Confesercenti: “dato preoccupante ma non inatteso"

 
Un dato preoccupante ma non del tutto inatteso quello odierno sull’inflazione del mese di gennaio: l’Istat scatta una fotografia nitida delle dinamiche in atto da diversi mesi – in parte dovute agli sconvolgimenti determinati a livello internazionale dalla pandemia – sia sulla catena di valore dell’offerta che sulle incertezze della domanda. Così l’Ufficio economico Confesercenti commenta, in una nota, le stime provvisorie sui prezzi al consumo diffuse oggi dall’Istituto di statistica.

La sintonia con i fenomeni inflazionistici a livello dei principali paesi industrializzati, testimonia la provenienza principalmente esogena di questi shock inflazionistici: la causa principale è ancora nelle dinamiche delle componenti energetiche dove, ad esempio, quella regolamentata registra addirittura incrementi superiori al doppio rispetto a gennaio 2021. Si delineano, perciò, sia forti aumenti delle cosiddette ‘bollette’ petrolifere per le famiglie e le imprese che si aggiungono agli effetti degli aumenti dei prezzi energetici sull’industria, nazionale ed internazionale, registrati nei mesi scorsi e che ora stanno espandendosi all’inflazione al consumo. Quest’ultima probabilmente si attesterà quest’anno intorno al 3,5%.

Gli incoraggianti risultati di crescita collegati alla produzione industriale e all’esportazione, dunque, non facciano perdere l’attenzione sulla componente della domanda interna: i consumi delle famiglie italiane, nel complesso, a fine 2021 sono ancora al di sotto dei livelli pre-crisi di oltre il 4 per cento e, rispetto a questa tendenza, il 2022 avrebbe dovuto caratterizzarsi con l’avvio di un percorso di crescita del potere d’acquisto delle famiglie, legato al progressivo miglioramento della capacità di convivenza con il virus ed al rafforzamento della domanda di lavoro proprio nei settori più colpiti dalla crisi. Ma nel giro di pochi mesi il quadro per i consumatori è drasticamente cambiato, con il ritorno dell’incertezza legata all’evoluzione della pandemia e gli effetti dell’aumento dei prezzi.

La politica economica dovrà, perciò, scongiurare che vengano bruciati, ancora, miliardi di consumi tali da allontanare ulteriormente il recupero dei livelli pre-crisi: già ora sono spostati in avanti di almeno 6 mesi, al primo semestre del 2024. Senza una ripresa dei consumi ed un rilancio dei settori più colpiti dalla pandemia, turismo e terziario, si pregiudica infatti la reale ripartenza del Paese.
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