Confartigianato: manifattura incerta, tra guerra e prezzi energia

 
Il freno alla ripresa dato dallo scoppio della guerra in Ucraina emerge dall’analisi dei dati pubblicati stamane dall’Istat, con la produzione manifatturiera che a marzo flette dello 0,2% rispetto al mese precedente, mentre su base trimestrale si rileva un calo congiunturale dello 0,8% a fronte di un aumento dell’1,1% rispetto al primo trimestre dell’anno precedente. Sulle imprese manifatturiere pesano il divergente andamento dei prezzi dell’energia, già evidente nel corso della seconda metà del 2021, e il rallentamento dell’economia cinese, accentuato dai lockdown diffusi in diverse aree produttive del paese. Un prolungamento del conflitto e l’acuirsi della crisi energetica potrebbero compromettere gli eccellenti risultati della manifattura made in Italy degli ultimi anni, resi possibili dall’apporto delle micro e piccole imprese.

L’apertura del divario competitivo penalizza la locomotiva della manifattura europea. Proprio l’Italia, con una più bassa dimensione media delle imprese (10 addetti medi per impresa) rispetto a Germania (media di 39 addetti) e Francia (media di 15 addetti), registra una maggiore crescita del volume di valore aggiunto, pari al +5,1% tra il 2016 e il 2021, a fronte del limitato +0,7% in Francia e del calo del 3% registrato in Germania.

La migliore performance è stata resa possibile dalla maggiore resilienza nella pandemia, con il valore aggiunto che nel 2021 recupera interamente (+0,3%) il livello del 2019, a fronte del ritardo del 5,1% della Francia e del 5,8% della Germania.

L’eccellente risultato è stato conseguito con un aumento di efficienza delle imprese italiane: nell’arco del quinquennio in esame, nonostante gli effetti disastrosi del contagio mondiale da Covid-19, la produttività della manifattura in Italia, valutata con l’indicatore del valore aggiunto per ora lavorata, sale del 5,2%, a fronte del +1,3% della Francia e dello 0,4% della Germania.

Questi risultati empirici contraddicono le tesi secondo la quale l’insufficiente crescita italiana va attribuita prevalentemente alla ridotta dimensione media delle imprese, già messa in discussione negli interventi di Confartigianato.

Il problema dell’Italia non sono i piccoli imprenditori ma l’ambiente che li circonda: l’Italia è ancora al 58° posto tra 190 Paesi nel mondo per la facilità di fare impresa, è al quart’ultimo posto nell’Unione europea per qualità dei servizi pubblici, mentre nel 2021 registra una pressione fiscale più alta di 1 punto di PIL rispetto alla media dell’Unione europea a 27.
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