Amministrative: tutti a cantar vittoria, anche gli sconfitti e chi calpesta le regole
- di: Diego Minuti
Amministrative, capitolo I. L'esito del voto di ieri ha premiato il centrodestra, che però sembra avere ben pochi motivi per festeggiare. Innanzitutto perché è il primo atto (l'altro, decisivo, sarà al ballottaggio), in secondo luogo perché, piuttosto che appianare le contraddizioni, i risultati di Palermo, Genova, L'Aquila e Catanzaro riconsegnano il quadro di una coalizione che sembra andare in ordine sparso, per contenuti e finalità, e alla quale l'alleanza appare come un ''complemento d'arredamento'', di ci si accorge solo quando non c'è.
Se veramente e non solo a parole Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia intendono perseguire un programma comune per scalzare il centrosinistra dalla stanza dei bottoni devono fare ben altro. A cominciare dal sospendere le guerre intestine (In Lega e Forza Italia sono di incontestabile evidenza) e dal resecare con decisione, fermezza e nitore ogni legame con ideologie che non possono che apportare problemi (Fratelli d'Italia). E in ogni caso la ricerca esasperata della leadership in questa precisa fase politica potrebbe trasformarsi in una guerra di logoramento, da cui tutti uscirebbero sconfitti.
Il valore di queste particolari amministrative, in termini di analisi, è ben poca cosa perché a prevalere sono state logiche particolari che poco hanno a che spartire con la politica, nell'accezione più alta del termine. In alcune città, come ad esempio Palermo, la vittoria dello schieramento di centrodestra, con il prof.Lagalla, ha avuto già chi se ne intestati i meriti, come vanto personale e non come conseguenza di intese e strategie comuni. Ora, anche se tutto dovesse andare senza alcun intoppo per Lagalla, la sua sindacatura sarà sin dall'inizio segnata dall'impronta che altri - parliamo di personaggi dal trascorso politico e giudiziario che non si può cancellare, anche attribuendo al carcere un effetto salvifico dell'anima - hanno voluto lasciare, peraltro sbandierandolo. Tacendo, poi, di casi di puro trasformismo in cui candidati dal passato chiaramente vicino, contiguo se non addirittura ufficiale, ad un partito sono passati, armi a bagagli alla concorrenza.
Appare comunque scontato che il voto di ieri - amministrative e referendum - sembra destinato a lasciare ferite aperte e sanguinanti.
Non tanto per il loro verdetto (le elezioni locali sottostanno spesso a logiche imperscrutabili) , ma per diventare per tutti i partiti una sorta di copertina di Linus, di cui tutti capiscono l'inutilità in termini di politica generale, ma di cui non riescono a disfarsi se vi trovano un appiglio che dirsene i trionfatori. E poi ci sono le cattive abitudini, quelle da cui nessuno riesce a staccarsi, accampando ruoli da super partes o, peggio, super legem. Silvio Berlusconi, in questo, non riesce proprio ad accettare che le regole valgono per tutti e non solo per gli altri. E quindi l'ennesimo mini-comizio al seggio contro la giustizia (che lui accusa, sempre e comunque, di restare politicizzata) ha violato la regola del silenzio elettorale, così come quello della saggezza. Perché un leader non può imporre ad altri il rispetto delle regole, per poi essere il primo a violarle. E anche il suo riferimento al ruolo che il Quirinale avrebbe dovuto avere nella guerra in Ucraina è stato poco riguardoso del ruolo istituzionale del presidente della repubblica e del profilo morale di Sergio Mattarella. Se, da un lato, ha fatto quasi tenerezza sentire l'uomo dire che non riesce a parlare con l'ex amicone Putin, dall'altro non si può non condannare l'abuso del prestigio personale in una circostanza particolare (esprimere il suo voto).
Lo stesso ha fatto Matteo Salvini che, pur giustamente stigmatizzando quanto stava accadendo a Palermo (con la fuga in massa di presidenti di seggio), ha colto l'occasione per alzare il tiro, non si capisce bene contro chi, parlando di furto di democrazia. Ma se c'è un furto c'è chi lo commette e chi ne è vittima. E Salvini, forzando un po' la mano, ha fatto capire che, in questo furto, si sente parte lesa. Ovvero: lo hanno fatto per colpire essenzialmente il referendum da lui sostenuto. Qui si apre un'altra sezione del discorso generale, perché resta ancora misterioso l'apparentamento tra Lega e radicali per un referendum che, tutti lo sapevano, non avrebbe mai raggiunto il quorum, non per la sua importanza in termini assoluti, ma solo perché lo strumento della consultazione popolare ha ormai perso la sua forza, limitandosi ad essere solo una vetrina di pochi e per pochi. Salvini, a volerla dire tutta, non ha ecceduto in galateo politico nel momento in cui, lui, ha voluto ringraziare i dieci milioni di italiani che sono andati a votare per il referendum. Quasi a volere rimarcare che si trattava solo di ''roba sua''. Ora bisogna vedere che tipo d'impatto il voto di ieri si porterà dietro. Tradizionalmente le amministrative durano, in termini di interesse, pochi giorni e neanche quelle di ieri sembrano potersi sottrarre a questo destino. Ma per tutti deve valere l'importanza del voto che, anche se ridotto ormai a pochi affezionati, non può essere marginalizzato. Gli italiani di tutto in questo momento sembrano avere bisogno meno che di gente che si inventa un carro dei vincitori solo per salirci.