Il maestro di eleganza si è spento a 91 anni il 4 settembre 2025. Un’eredità da miliardi, una fondazione a guida familiare, cinquant’anni di rivoluzioni stilistiche e culturali, dalla giacca destrutturata al red carpet hollywoodiano, dal Silos al design d’interni, dal basket all’alta moda. Il suo stile resta il simbolo di un’Italia che non ha mai smesso di sognare.
Oggi, 4 settembre 2025, all’età di 91 anni, si è spento nella sua casa di Milano Giorgio Armani, lo stilista che ha cambiato il modo di vestire e di pensare la moda in Italia e nel mondo. La notizia ha immediatamente scosso il panorama internazionale: da Parigi a New York, da Hollywood a Tokyo, le reazioni di colleghi, celebrità e istituzioni hanno celebrato un uomo definito da tutti “instancabile” e “visionario”.
Fino all’ultimo, Armani ha mantenuto il controllo creativo della sua maison. Nonostante i problemi di salute e un periodo di convalescenza, lo stilista seguiva ancora via Facetime le prove delle sfilate, correggeva dettagli, richiamava i collaboratori ai tempi scenici, e pianificava persino la collezione prevista per il 28 settembre all’Accademia di Brera, che avrebbe segnato i cinquant’anni della sua carriera.
Un uomo che ha liberato la moda
Paragonato spesso a Coco Chanel, Armani è stato colui che ha liberato donne e uomini dai vincoli della moda rigida degli anni Settanta e Ottanta. La sua giacca destrutturata, introdotta nel 1980, fu una rivoluzione estetica: togliere imbottiture, dare morbidezza senza sacrificare eleganza. La copertina su Time del 1982 sancì l’ascesa di un linguaggio stilistico riconoscibile e duraturo.
“Per me conta chi indossa i miei vestiti, non la moda del momento”, sosteneva. Nel 2020 difese con forza la dignità di chi indossa, contestando derive effimere del sistema moda: parole che scossero l’ambiente e che molti finirono per condividere.
Dalle vetrine alla conquista del mondo
Il percorso non era scritto. Nato a Piacenza l’11 luglio 1934, si trasferì con la famiglia a Milano nel 1949. Si iscrisse a medicina, ma abbandonò dopo la leva. Entrò così a La Rinascente come vetrinista e commesso: lì imparò cosa significava osservare il cliente e capire il legame tra corpo e abito.
Nel 1965 fu chiamato da Nino Cerruti, che gli affidò le collezioni nonostante l’assenza di formazione tecnica accademica. Il vero salto arrivò nel 1975: con Sergio Galeotti, compagno di vita e partner finanziario, fondò il marchio Giorgio Armani. Il debutto con la collezione primavera/estate 1976 segnò l’inizio di una nuova era: Milano diventò capitale mondiale del prêt-à-porter.
Impero e innovazione
Dagli anni Ottanta in poi, Armani ha costruito un impero tentacolare: Emporio Armani (1981), con jeans e felpe diventati status symbol; la linea sportiva EA7, che vestì la Nazionale alle Olimpiadi; l’alta moda Armani Privé (2005), prediletta dai red carpet; le divise Alitalia (1991), considerate tra le più eleganti al mondo; il rapporto simbiotico con il cinema, da American Gigolò a produzioni entrate nell’immaginario collettivo.
Il marchio ha abbracciato anche l’interior design e l’hôtellerie con gli Armani Hotel, il polo culturale del Silos e il Teatro firmato Tadao Ando. Con la sorella Rosanna lanciò una rivista di casa madre e fu tra i primi a usare le maxi-affissioni, cambiando pure il modo di comunicare la moda.
Un uomo di rigore, senza smancerie
Il suo carisma nasceva dalla sobrietà. Non era incline ai sorrisi facili, ma non si negava mai a foto o autografi: chi lo incontrava in via Sant’Andrea, intento a sistemare manichini in vetrina, raccontava di una semplicità disarmante.
Il rapporto con la vita privata fu complesso: “Rimpianti? Inutili, fanno male. Rifarei tutto: ho sacrificato per il lavoro, ma non me ne pento”, confidò in una rara intervista. Dopo la morte di Galeotti nel 1985, Armani guidò l’espansione del marchio affidandosi alla sorella Rosanna, alle nipoti Silvana (womenswear) e Roberta (celebrities), e al fedele Leo Dell’Orco (menswear).
La fondazione e il futuro
Nel tempo si rincorsero voci di cessione e fusioni. Armani fu sempre netto: “Il marchio resta alla famiglia”. Per questo creò una Fondazione per garantire continuità, con governance familiare e il coinvolgimento dei collaboratori storici. La sua fortuna personale è stimata nell’ordine delle decine di miliardi di dollari.
Armani e le emergenze del presente
Lo stilista non fu mai indifferente. Nel 2020, durante la Milano Fashion Week, fu tra i primi a sfilare a porte chiuse per tutelare la salute di ospiti e dipendenti; convertì stabilimenti per produrre camici monouso e sostenne realtà impegnate nell’emergenza sanitaria. Nel 2022 fece sfilare senza musica in segno di rispetto per le vittime della guerra, commuovendosi davanti ai giornalisti.
Nel 2023 ricevette la laurea honoris causa in global business management a Piacenza, accolto da una folla che bloccò la città, e riportò la couture a Venezia salutato da migliaia di fan: un rapporto con il pubblico diretto e costante.
Le reazioni del mondo della moda
Le istituzioni e il fashion system hanno reso omaggio. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha osservato: “Con Armani se ne va un simbolo di Milano, dell’Italia e della creatività capace di parlare al mondo”.
Valentino Garavani lo ha ricordato come “un uomo che ha insegnato a tutti noi il coraggio della semplicità”. La direttrice di Vogue Anna Wintour ha scritto: “Ha creato uno stile riconoscibile come un linguaggio universale”. L’attrice Jodie Foster ha aggiunto: “Ha reso il red carpet un luogo di arte, non solo di moda”.
Camera ardente e funerali
La camera ardente è prevista a Milano nel fine settimana; i funerali si terranno in forma strettamente privata. Una scelta coerente con l’uomo e con l’estetica che ha proposto al mondo: sobrietà, misura, rigore.
Il vuoto lasciato da un uomo unico
Con Giorgio Armani non scompare solo un creatore di moda, ma un interprete dei tempi. Ha trasformato l’abito in linguaggio sociale, unendo eleganza e funzionalità, e ha reso l’Italia un riferimento globale. La sua coerenza – nelle scelte creative, nei gesti pubblici, nella difesa della sobrietà – è il lascito più prezioso.
Se n’è andato senza clamori, come ha sempre vissuto: con dignità e dedizione assoluta al lavoro. Il sipario si è chiuso, ma la scena resterà per sempre illuminata dal suo nome.