UniCredit aderisce al 'Transgender day'. E gli altri problemi che fine hanno fatto?

- di: Redazione
 
Nelle tattiche della strategia in battaglia ha grande importanza il ricorso al diversivo. Ovvero, una azione che serve a distogliere l'attenzione del nemico, per prepararne un'altra, soprattutto in un luogo diverso, potenzialmente più efficace se non determinante.Il ricorso al diversivo comunque è molto frequente anche nella vita di tutti i giorni e quindi non ci si deve sorprendere se lo individuiamo in altri settori, dall'economia e nella finanza (come un'opa presentata a colpo sicuro, quando, per gli altri, gli obiettivi erano diversi), nello sport e in mille diverse attività umane.E questo accade anche nel campo della comunicazione, dove chi paga chiede che i suoi comportamenti siano enfatizzati, relativizzando o addirittura cancellando quelli potenzialmente negativi.
Insomma, descriversi belli e puliti, per evitare che la gente guardi con attenzione, magari scoprendo sporcizia e bruttezze. E' quello che cerca di fare, nel campo della comunicazione, il greenwashing, ovvero dare ai comportamenti di aziende o anche di istituzioni delle pennellate di ''verde'' per mascherare atti precedenti non in linea con le corrette politiche ambientalistiche.
Niente di irregolare, se non quello di mistificare la realtà, per disegnarne un'altra diversa e più spendibile in termini di immagine positiva.
Questa premessa è generale, parlando di attività quotidiane e quindi non necessariamente sovrapponibile in automatico ad alcune scelte di UniCredit che sembrano, nel campo della comunicazione, seguire la strada della massimizzazione della propria immagine e della relativizzazione degli inciampi.

L'adesione di UniCredit al Transgender Day of Visibility sembra un tentativo per nascondere altre problematiche

Prendiamo l'annuncio fatto ieri, in pompa magna, dall'istituto di credito dell'adesione al Transgender Day of Visibility, ''una giornata" - leggiamo dal comunicato - "per celebrare gli individui transgender e non-binary in tutto il mondo e un momento per valorizzare l'importanza del raggiungimento dell'uguaglianza e di un continuo progresso per tutti''.
Di seguito vengono riferite le modifiche al codice di comportamento del gruppo a sostegno della parità di genere, di tutti i generi, anche di quelli che solo in tempi recenti sono stati definiti, dopo anni di colpevole sottovalutazione, che spesso s'è tradotta in discriminazione.
Quindi, UniCredit si impegna a portare avanti un ''processo di assunzioni inclusivo'' e a una ''gestione della transizione di genere sul posto di lavoro per continuare a costruire e promuovere una cultura dell'inclusione''.
Parole bellissime, verrebbe da dire, anche se si prestano ad alcune considerazioni non totalmente positive, perché dire che da oggi ci sarà un ''processo di assunzioni inclusivo'' significa, letteralmente, che questo processo, se c'era già, non era effettivamente così incisivo - quindi potenzialmente discriminatorio - e che, la costruzione di una ''gestione della transizione di genere sul posto di lavoro'' è un modo elegante per dire che, fino a ieri, questa delicatissima fase nella vita di persone era sottovalutata, abbandonandole a lore stesso in un momento in cui, invece, avrebbero avuto bisogno di sostegno.

Ma non è di questo che intendiamo parlare.
Quanto del fatto che parlare in questo momento dell'importantissimo problema del rispetto del genere sembra volere distrarre l'attenzione da altre e non meno importanti problematiche che UniCredit sta affrontando in questo periodo.
A cominciare dalla spinosa questione della retribuzione dell'ad, Andrea Orcel, che tanto sta facendo discutere.
Una massa di soldi - nell'ordine di milioni di euro all'anno - che, se è giustificata dal conclamato profilo manageriale di Orcel, non lo è alla stessa maniera dai risultati che ancora non arrivano.
Anzi, potrebbero non arrivare a breve, visto che le notizie che giungono sul fronte internazionale e delle sanzioni imposte alla Russia lasciano pensare a perdite rilevanti posto che la ''presenza'' di UniCredit lì si aggira sui 7,5 miliardi. A fronte di un potenziale ''bagno di sangue'' economico dalle parti di Mosca, forse, e sottolineiamo forse, un pizzico di cautela si sarebbe imposto. Perché, in quella che UniCredit - parlando di sé stesso - quasi definisce una grande famiglia, non ci possono essere figli e figliastri e, quindi, di fronte ad un problema comune tutti devono farsene carico. Soprattutto se ti chiami Orcel e sulla targhetta dell'ufficio hai scritto 'Amministratore delegato'.

''UniCredit" - si legge ancora nel comunicato - "è fortemente impegnata a creare e mantenere un luogo di lavoro rispettoso con idee e valori condivisi, muovendosi verso un ambiente unito e diversificato dove i dipendenti vengono rispettati. A ulteriore conferma di questo, i dipendenti hanno la garanzia di sentirsi sicuri nel poter sollevare eventuali problematiche, senza timore di ritorsioni, attraverso i canali di segnalazione del Gruppo''.
Parole belle e di effetto, che potrebbero essere anche di garanzia per quei dipendenti di UniCredit che magari vedono il loro posto di lavoro non più ''fisso'', come è stato sempre considerato, ma assistono basiti al lievitare dei compensi di chi ha responsabilità ben maggiori delle loro, ma non per questo dovrebbe immune dal pericolo di un licenziamento.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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