Franco Lauro: il giornalismo televisivo con educazione, rispetto e compostezza

- di: Romolo Martelloni
 
Quando, parlando di qualcuno, si dice che sia fuori posto, non è che sembra gli si faccia un complimento, quasi a volerne sottolineare il mancato allineamento al comportamento generale, al canone seguito dalla maggioranza degli altri. Eppure, quando si parla di Franco Lauro, a 4 anni dalla sua prematura scomparsa quel maledetto 14 aprile del 2020 , dire che fosse fuori posto, nel panorama del giornalismo che poggia su voce e immagini, gli si rende quasi un omaggio.

Franco Lauro: il giornalismo televisivo con educazione, rispetto e compostezza

Perché lui, dal vociare indistinto che ormai caratterizza il giornalismo che si basa sull' immagine, si distaccava per misura, continenza verbale, gestualità, compostezza.
Una compostezza, verrebbe quasi da dire, che non ha tradito nemmeno quando se n'è andato, quasi non abbia voluto disturbare nessuno delle persone che gli volevano bene. E che erano tantissime.
Aveva 58 anni, molti dei quali vissuti nella prima linea del giornalismo, la ''voce del basket'' agli inizi della sua carriera, che non è necessariamente quella sguaiata di alcuni/molti/troppi suoi colleghi che pensano che alzare la voce e urlare, per dare forza ad una loro idea, sia il modo migliore per farsi capire ed apprezzare.

Lui, la voce, non l'alzava mai, anche quando, da responsabile di seguitissime trasmissioni della Rai, dalla Domenica sportiva a Novantesimo minuto, si accorgeva che qualche collega andava un po' sopra le righe nei commenti del dopo partita, tradendo quello stile equilibrato che lo caratterizzava e che, pur nel rispetto della professionalità degli altri, cercava di imporre..
Anche quando qualcuno sbagliava, Franco Lauro preferiva parlargli, spiegandogli il suo punto di vista e sperando che l'interlocutore lo seguisse.

Si potrebbe dire che decine di giornalisti si sono formati professionalmente con il suo esempio, anche se il primo a dirsi non d'accordo su questa affermazione sarebbe stato proprio lui, che nemmeno quando era lontano dagli studi televisivi aveva parole meno che dolci nei confronti dei colleghi. Di tutti. Anche per coloro che forse solo dopo che ci ha lasciati hanno capito quando fosse bravo e quanto incarnasse il giornalismo che dovrebbe caratterizzare il servizio pubblico. Perché, diceva ai suoi amici che non sono giornalisti, il nostro compito è quello di spiegare, fare capire, mostrare tesi diverse, ma con garbo ed equilibrio. Le risse verbali, le grida, il giornalismo schierato, di parte lasciamoli ad altri. Noi siamo la Rai, affermava come se fosse una verità rivelata.

Quella stessa Rai che, per le sue dimensioni, il suo gigantismo, la sua necessità di adattarsi al conducente di turno, sembra avere perso con lui un'occasione per ricordarlo non episodicamente, non in occasione di anniversari sia pure tristi, ma magari mettendo il suo nome su una targa davanti ad uno studio o ad una sala dove si tengono i briefing, che sia il segno tangibile di come Franco Lauro fosse apprezzato e che per questo non merita certo di cadere nel tritacarne della memoria.

La sua eleganza nell'eloquio e nel mostrarsi (andava fiero delle sue cravatte, che sceglieva con attenzione, sapendo che la telecamera ha le sue leggi) oggi non sembrano avere eredi. Certo, in tanti parlano in tv, di sport come di mille altri argomenti. Ma entrare nelle case di milioni di persone, con educazione e rispetto, come faceva Lauro, è ormai merce rara. Ciao Franco ci manchi tantissimo!!!
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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