Made in Italy: il settore calzaturiero torna a crescere nel 2021

- di: Barbara Leone
 
Accuratezza, eleganza e stile. Sono queste le caratteristiche che contraddistinguono da sempre le calzature italiane, eccellenza indiscussa del Made in Italy. I dati parlano chiaro: l’Italia è terzo esportatore mondiale a valore e leader nell’alta gamma. A fare il punto della situazione è l’Area Studi Mediobanca, che in occasione del Micam, il salone internazionale delle calzature che si terrà a Milano dal 13 al 15 marzo prossimi, ha presentato il primo report sul settore calzaturiero. L’analisi, che contiene anche un contributo del Centro Studi Confindustria Moda su produzione ed interscambio commerciali italiani, analizza i dati finanziari di 170 aziende produttive italiane, oltre ad approfondire la mappa produttiva e l’andamento del comparto a livello mondiale. I dati fotografano un settore in ripresa, che sta reagendo bene alla crisi causata dall’emergenza sanitaria anche se però i numeri rimangono distanti dai livelli pre-covid.

Area Studi Mediobanca presenta il primo report sul settore calzaturiero 

Nel dettaglio è stato analizzato il giro d’affari di 170 aziende con un fatturato superiore a 10 milioni di euro che ha evidenziato per il 2021  una ripresa a “V” a 9,5 miliardi di euro, quindi +21% sul 2020, con un risultato ancora inferiore a quello del 2019 (-6%). Purtroppo i venti di guerra che soffiano dalla Russia potrebbero compromettere la situazione, soprattutto a causa delle pesanti ricadute sui prezzi dell’energia e delle materie prime e sui flussi commerciali verso la Russia e l’Ucraina. A reagire meglio nel 2021 sono state le imprese del segmento di alta gamma, che con il loro +32% si posizionano meglio  rispetto a quelle che operano nella fascia più economica (+13%), arrivando addirittura a sfiorare i livelli pre-crisi (- 2% sul 2019). Il 2021 chiude con una progressione anche degli investimenti che dovrebbe attestarsi al +15% sul 2020, anche in questo caso più accentuata per le aziende di alta gamma (+26%) rispetto a quelle di fascia mass market (+10%).

Il giro d’affari mondiale del comparto supererà i 320 miliardi di euro nel 2022

Per quanto riguarda il giro d’affari le 170 aziende esaminate, la maggior parte delle quali è ubicata nel Nord Est, hanno sviluppato un fatturato pari a 7,8 miliardi di euro (-22,4% sul 2019 e -20,9% sul 2018), impiegando oltre 46mila dipendenti (-1,5% sul 2019 e +0,5% sul 2018). A soffrire meno della media del settore sono le calzature di sicurezza per uso professionale (-9,1%), quelle sportive (-11,2%), da bambino (-12,3%), le pantofole (-13,8%) e la componentistica (-15,3%). Maggiore resilienza per le medie imprese, il cui fatturato segna un calo inferiore (-18,7%) rispetto alle piccole (-20,9%) e alle medio-grandi (-25,7%). 

La categoria più rappresentativa è quella che coinvolge gli operatori multiprodotto con 4,7 miliardi di fatturato (ovvero il 60% del totale), seguita dai produttori di calzature sportive (1,2 miliardi) e da quelli di scarpe da donna (0,8 miliardi). Più contenuto il giro d’affari delle calzature di sicurezza, della componentistica e di quelle da uomo (circa 0,3 miliardi di fatturato ciascuno). Risultano inferiori a 100 milioni di fatturato aggregato le imprese che producono prettamente pantofole e calzature da bambino. Una cosa molto interessante è che la metà delle vendite, più precisamente 4,2 miliardi, è stata realizzata da produzioni riferibili all’alta gamma, con i produttori a marchio che sfiorano i 6 miliardi di giro d’affari (76,4% del totale) ed i terzisti che hanno dimensioni più contenute (1,5 miliardi).

In generale, prevalgono le imprese a controllo italiano, che rappresentano l’82,3% delle vendite complessive, mentre il contributo degli operatori a controllo estero si ferma al 17,7% del totale. La presenza estera è di assoluto rilievo nel segmento di alta gamma, a conferma del particolare apprezzamento degli stranieri, francesi in primis, per l’elevata qualità del Made in Italy. Del resto la proiezione internazionale è una delle caratteristiche più rappresentative delle società calzaturiere: il 66,7% del fatturato complessivo proviene dall’estero, con in testa le calzature sportive (82,1%) e quelle da uomo (72,4%). I principali mercati di sbocco delle aziende italiane sono l’Europa, che accoglie più della metà delle vendite oltreconfine (52%), l’Asia che risulta trainata dalla Cina (35%) e le Americhe sostenute dagli Stati Uniti (13%). La base produttiva delle aziende esaminate è principalmente italiana: il 73% degli insediamenti manufatturieri è ubicato in Italia, mentre il restante 27% si trova in Paesi stranieri, soprattutto in Europa (20%). Maggiore, invece, è la concentrazione della produzione nazionale per quanto riguarda le aziende dell’alta gamma, che nell’84% dei casi hanno la loro base produttiva in Italia e solo nel 16% dei casi in Paesi stranieri.

Italia terzo esportatore mondiale a valore e leader nell’alta gamma

E’ importante notare che il giro d’affari legato all’industria calzaturiera mondiale si aggira intorno ai 298 miliardi di euro, stando ai prezzi al dettaglio nel 2020. La speranza, e questi dati promettono sicuramente bene, è che il comparto possa superare i 320 miliardi di euro nel 2022 sino ad arrivare ad un valore atteso di circa 375 miliardi nel 2026. Del resto nel 2020 la produzione mondiale di calzature ha chiuso con una contrazione del 15,8%, con la Cina al primo posto (col 54,3% della produzione mondiale), seguita da India (10,2%), Vietnam (6,4%) e Indonesia (5,1%). Nonostante la crisi, il ruolo dell’Italia nello scenario mondiale resta centrale: il nostro Paese, infatti, è il tredicesimo produttore mondiale e primo dell’Unione Europea, con quasi un terzo delle calzature comunitarie prodotte (32,2%, pari a 131 milioni di paia), davanti a Spagna (17,7%) e Portogallo (16,2%). 

Il nostro Paese, terzo esportatore mondiale a valore e ottavo a volume, ha un ruolo centrale anche per quanto riguarda la mappa esportativa mondiale, con l’8% delle esportazioni complessive. Mentre è leader tra i produttori di calzature di alta gamma: il prezzo medio delle esportazioni italiane, infatti, è il più elevato al mondo, davanti a quello della Francia e superiore di oltre dodici volte rispetto a quello cinese. Per quanto riguarda i prezzi, il trend continua ad essere in ascesa, complice l’aumento delle materie prime e degli oneri di trasporto, l’incremento del costo del lavoro (produttivo e retail) e la spinta inflazionistica. Sul fronte della produttività l’Italia in Europa occupa il gradino più alto del podio per addetto (69,3mila euro pro-capite), seguita dalle imprese tedesche (64,8mila) e dalle francesi (46,9mila). Un risultato che permette alla manifattura calzaturiera italiana di ottenere un livello di competitività pari al 163,1%.

Presenza straniera concentrata nelle produzioni di lusso

Stando alle rilevazioni del Centro Studi Confindustria Moda, l’industria calzaturiera rappresenta il 2,1% delle esportazioni manifatturiere italiane del 2020. Il mercato in cui l’Italia appare meglio inserita è quello francese, dove il nostro Paese soddisfa il 22,1% dell’import e continua a consolidare il proprio storico appeal. Nel 2021 la stima della produzione italiana di calzature si attesta al +13,8% a volume, che equivale a 148,7 milioni di paia realizzate (18 milioni in più del 2020, ma ancora 30,4 milioni sotto i livelli 2019). Il valore della produzione è stimato invece in 7,1 miliardi di euro (+16,8%). Nel 2021 le esportazioni italiane hanno raggiunto a valore (10,3 miliardi di euro), il secondo miglior risultato di sempre dopo quello del 2019 anche al netto dell’inflazione. In crescita l’andamento delle prime due destinazioni dell’export calzaturiero italiano: Svizzera (+16,2% a valore sul 2020, nei primi 11 mesi 2021) e Francia (+24,0%), entrambe legate ai flussi del terzismo per le multinazionali del lusso. Bene anche Stati Uniti (+41,8%) e Cina (+37,5%). Dinamiche meno brillanti per la Russia (+8,2%a valore e -21% a volume), che rappresenta il 2,7% dell’export calzaturiero italiano ed è il decimo mercato di sbocco. L’Ucraina, invece, si ferma allo 0,4%. Ovviamente sull’evoluzione futura in questi mercati, ed in quelli dell’intera area dell’ex blocco sovietico, pesano ad oggi le drammatiche incognite del conflitto in corso.
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