Comunicazione, Fabio Ventoruzzo (Sisal): "Non basta saper fare, è cruciale saper essere"

- di: Redazione
 

Approccio, metodo e capacità di innovare nella comunicazione corporate oggi sono essenziali per diventare rilevanti. Non servono più comunicatori che replicano formule esistenti, ma manager capaci di intercettare trend emergenti e supportare le aziende nelle loro trasformazioni.

Dottor Ventoruzzo, lei ha affermato che “una delle grandi sfide della comunicazione (aziendale, ndr) è integrarsi all’interno delle strategie dell’azienda (…) Anche dal punto di vista delle competenze e professionalità per i comunicatori questa è una delle sfide più grandi”. Quali sono i caratteri di questa sfida, quali competenze e professionalità deve avere oggi un comunicatore corporate?

La grande sfida dei comunicatori è saper accompagnare le aziende nel cogliere le opportunità di trasformazione che stanno affrontando. Non si tratta (solo) di cambiamenti nei loro modelli di business, ma di costruire una nuova ‘piattaforma’ di relazione con gli stakeholder dove, da un lato, bisogna rispondere con autenticità alle crescenti aspettative sul ruolo sociale delle aziende e, dall’altro, alla polarizzazione delle opinioni che impone nuovi paradigmi di comunicazione (oggi non si può piacere a tutti, si deve scegliere di piacere ‘a qualcuno’ o ‘per qualcosa’). Se, fino a pochi anni fa, l’ambizione dei comunicatori era sedere nel tavolo delle decisioni, oggi cambia l’aspettativa del loro contributo: le tradizionali competenze verticali stanno diventando meno rilevanti rispetto alle capacità manageriali di guidare le trasformazioni aziendali.

Siamo sempre più nell’era della data economy, ma quest’ultima basta a costruire una strategia efficace di comunicazione? Eventualmente, cosa serve in più?

Siamo sempre portati erroneamente a pensare che la differenza sia nella grande quantità di dati a disposizione. Oggi la grande sfida, invece, è nella necessità di trovare la qualità in quei dati, intesa come capacità di creare valore ed essere rilevanti nei processi decisionali. Già qualche anno fa l’Institute for Public Relations in una sua pubblicazione embrionale sui Big Data evidenziò l’importanza di un ‘elemento umano e un pensiero critico per creare un significato’. Oggi il semplice accesso ai dati e/o alle competenze tecniche per una loro lettura/interpretazione non basta più: ai comunicatori è richiesto di trovare gli ‘insight’ per renderli azionabili. I dati non sono più il fine, ma diventano il mezzo per guidare la trasformazione e supportare la strategia di lungo periodo dell’azienda.

Più in generale, l’ecosistema della comunicazione sta attraversando un mutamento profondo, caratterizzato sempre più dalla necessità di quella che viene definita ‘comunicazione integrata’. Qual è il suo concetto di ‘comunicazione integrata’? Quali le opportunità e quali i rischi?

Tutti i tradizionali modelli di integrazione della comunicazione stanno completando il loro ciclo: prima con il marketing (anni ’80), poi il progressivo allineamento tra pubblici interni/esterni (anni ’90) per poi focalizzare l’attenzione sulle sinergie tra on e off line (inizio 2000) e negli ultimi anni per valorizzare i social media nello storytelling dell’azienda. Queste integrazioni hanno evidenziato l’evoluzione della comunicazione (anche negli organigrammi aziendali) da leva a supporto del business a funzione di presidio nelle relazioni con gli stakeholder. Oggi stiamo assistendo a una nuova (e diversa) forma di integrazione con la strategia per garantire il raggiungimento degli obiettivi di lungo periodo: oggi l’orizzonte della comunicazione deve essere proiettato sul futuro per anticipare e guidare la sostenibilità, intesa come durabilità dei modelli di business.

Come, dal punto di vista comunicativo, a suo parere si costruisce e si consolida un brand aziendale visto che, come si insegna oggi nei corsi universitari dedicati alla comunicazione aziendale, “al centro non ci sono più le aziende ma il pubblico, i brand vengono scelti, non scelgono”?

Viviamo nel tempo della Reputation Economy: oggi la reputazione influenza le scelte di consumatori e stakeholder nei confronti delle aziende. L’ascolto degli stakeholder ora non è solo uno strumento per legittimare le decisioni aziendali, ma diventa un processo per comprendere l’infrastruttura reputazionale che guida i comportamenti nei confronti dell’azienda (comprare i suoi prodotti/servizi, volerci lavorare, investire, …). A differenza delle attività di branding (come voglio essere percepito dai miei consumatori), la reputazione è un patrimonio che ti viene assegnato dagli stakeholder. E sappiamo che oggi per gli stakeholder ‘chi sei’ conta molto più di ‘cosa vendi’: oggi le aziende vengono scelte non solo per le loro capacità di business ma, soprattutto, per il loro corporate character

Collegandoci alla domanda precedente, le tematiche della Sostenibilità e dei criteri Esg (environment, social, governance) stanno diventando cruciali nella comunicazione corporate, fattori potenti per il brand. Quali sono le sue convinzioni in materia? Quali strategie di comunicazione vede come più efficaci oggi nel comunicare la responsabilità sociale di un’impresa?

Secondo ricerche di RepTrak®, lo standard globale nella misurazione della reputazione, oggi la sostenibilità impatta più del 40% nella reputazione di un’azienda. Per questo è sempre più un tema centrale nella costruzione del valore di lungo periodo dell’azienda e della durabilità del suo modello di business. L’errore più comune, tuttavia, è raccontare gli impegni della sostenibilità in parallelo al business aziendale, dove il rischio ‘washing’ è dietro l’angolo. Oggi le aziende più efficaci sono quelle che comunicano la trasformazione sostenibile dei loro modelli di business, integrando la sostenibilità nella strategia di lungo periodo dell’azienda. Un’azienda competitiva è un’azienda sostenibile. Non ci possono essere scorciatoie, né compromessi.

Ma la ‘reputation’ come si conquista e come si mantiene? Può raccontarci la sua esperienza concreta di Corporate Communications & Sustainability Director di Sisal su questo fronte?

La reputazione si costruisce nel corso del tempo (anche se basta molto poco per distruggerla) e si costruisce rispondendo alle aspettative che consumatori e stakeholder hanno nei confronti del brand. Prodotto, responsabilità e innovazione sono i driver, fortemente collegati, che guidano la reputazione di Sisal. Nel percorso di reputation management, per prima cosa abbiamo cercato di re-intermediare il racconto puntando sui media digitali proprietari e di rafforzare la nostra dimensione corporate: sostenibilità, crescita digitale e sviluppo internazionale sono i tre driver che non solo guidano la strategia di lungo periodo dell’azienda, ma che sono stati messi al centro del posizionamento comunicativo”. L’integrazione del reputation management nella strategia è funzionale per indirizzare la trasformazione del modello di business dell’azienda e renderlo credibile per consumatori e stakeholder. Questo impegno ha permesso di rispondere efficacemente alle sfide del settore e di rinnovare la nostra reputazione non più solo come operatore di gioco, ma come azienda sostenibile, digitale e internazionale.

Se un giovane le chiedesse consigli su come diventare un buon comunicatore corporate, cosa suggerirebbe?

Per diventare un buon comunicatore è fondamentale saper sviluppare sia competenze tecniche (30%) che capacità manageriali (70%). Oggi, non basta ‘saper fare’, ma è cruciale ‘saper essere’: approccio, metodo e capacità di innovare sono essenziali per diventare rilevanti.  È più importante sapersi fare le giuste domande piuttosto che trovare solo le risposte giuste. Non servono più comunicatori che replicano formule esistenti, ma manager capaci di intercettare trend emergenti e supportare le aziende nelle loro trasformazioni. Il comunicatore ha definitivamente abbandonato le vecchie caratterizzazioni per diventare un manager sempre più integrato nella strategia di crescita di lungo periodo dell’azienda.

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