Dopo Afghanistan e Iraq, le truppe statunitensi lasciano anche la Somalia

- di: Brian Green
 
Apparentemente è semplicemente un annuncio, ma quello che Donald Trump ha fatto, ordinando il ritiro della “maggioranza” delle truppe americane dalla Somalia “entro l'inizio del 2021”, cioè pochissimo tempo prima che la sua presidenza scada, sembra l'ennesimo boccone avvelenato che l'attuale inquilino della Casa Bianca vuole lasciare in eredità al suo successore.
Con l'alleggerimento della presenza di militari in Somalia (la cui importanza strategica nella regione è evidente) si completa il programma di Trump di riportare a casa quanti più soldati possibile, allontanandoli da teatri di potenziale pericolo. È in quest'ottica che deve essere visto anche l'annunciato disimpegno da Afghanistan ed Iraq, che certo non possono essere ritenuti territori pacificati.

Questi annunci rientrano comunque in quell'impegno assunto con gli americani di mettere la parola fine alle "guerre infinite", quei conflitti che impegnano da decenni gli Stati Uniti e che, oggettivamente, appaiono ben lontani dall'essere conclusi.

Secondo il comunicato del Pentagono, Trump ha deciso di "spostare la maggior parte del personale e delle risorse militari dalla Somalia entro l'inizio del 2021, con una parte delle forze che può essere ridistribuita al di fuori dell'Africa Orientale". Il resto delle forze "sarà trasferito dalla Somalia ai Paesi vicini per consentire operazioni transfrontaliere da parte degli Stati Uniti e delle forze partner e per mantenere la pressione sulle organizzazioni estremiste violente".
Sono circa 700 i militari delle forze speciali statunitensi che addestrano e "consigliano" (secondo la definizione ufficiale) l'esercito somalo da anni impegnato in un conflitto contro le formazioni terroristiche islamiche degli Shabab, affiliati ad Al-Qaeda.

Gli Stati Uniti, ha comunque voluto precisare il Pentagono davanti alle perplessità generate dalla decisione di lasciare la Somalia, "non si stanno ritirando o disimpegnando dall'Africa. Continueremo a indebolire le organizzazioni estremiste violente che potrebbero minacciare il nostro territorio".

I piani di Trump - che Joe Biden potrebbe anche fare suoi, in considerazione del fatto che l'opinione pubblica americana è favorevole al rientro delle truppe dislocate in zone pericolose - sono quelli di lasciare in Iraq ed Afghanistan contingenti di 2500 uomini in ciascun Paese, fermo restando che continuerà l'attività di intelligence, quella che, per capirsi, è stata alla base dei recenti successi nella lotta al terrorismo islamico. Come testimoniano le operazioni che si sono concluse con l'eliminazione di alcuni dei più importanti esponenti di al Qaeda. Così come potrebbero essere lasciate in Iraq ed Afghanistan delle unità speciali da utilizzare in particolari evenienze.

Le mosse del presidente uscente, comunque, rientrano in uno schema che sembra essere condiviso dagli analisti, secondo i quali quanto fatto negli Stati Uniti in questi ultimi anni in Somalia dimostrano che dire di volere restare, sino a quando non ci saranno più potenziali terroristi sul campo, significherebbe non andarsene mai.

Secondo un recente rapporto dell'ispettorato generale del Pentagono, al-Shabab rimane una minaccia significativa, poiché continua ad adattarsi, resistere e rimanere in grado di attaccare gli interessi occidentali ei loro partner in Somalia e in Africa orientale. Appena mercoledì scorso il capo di Stato maggiore americano, il generale Mark Milley, ha ammesso che al-Shabab rimane una minaccia che deve essere controllata, spiegando che gli Stati Uniti stavano cercando il "miglior equilibrio per ridurre al minimo i rischi umani e finanziari, mentre conducevano efficaci operazioni antiterrorismo". Ma nessuna di queste operazioni è priva di rischi , ha avvertito, ricordando la morte, a novembre, di un agente della CIA in Somalia.
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