Usa 2020: l'America trema temendo che le proteste degenerino in violenza
- di: Diego Minuti
Mentre si avvicina il momento in cui lo scrutinio dei voti espressi per corrispondenza sarà ultimato e con esso arriverà l'ufficializzazione dell'esito delle elezioni presidenziali, gli Stati Uniti restano appesi ad una sottile speranza, che quanto accadrà dopo non prenderà a schiaffi una democrazia che forse non sarà la migliore del mondo, ma che sino ad oggi non ha interferito con l'essere diventata l'America la nazione più potente della Terra.
I timori che il risultato possa fare da miccia per disordini di strada crescono con il passare delle ore perché, per assurdo che possa sembrare, una immediata e schiacciante vittoria di uno dei due candidati avrebbe forse abbassato il livello di litigiosità che, in questi anni, ha fatto da detonatore ad eventi anche luttuosi. Episodi di violenza di strada che hanno mostrato le debolezze di un presidenzialismo che è talmente puro da consentire a chi siede alla Casa Bianca di agire ben al di là dei confini della ragionevolezza, anche se forse (e bisogna sottolineare il ''forse'') ancora entro quelli della legge.
Gli scontri ideologici tra conservatori (repubblicani) e liberal (democratici) che, sino ai precedenti presidenti, erano rimasti nell'alveo di un confronto duro, ma sempre nell'ambito del perimetro delle leggi, oggi sembrano avere superato il limite della ragionevolezza.
Le manifestazioni che si sono scatenate in molte città americane, dopo che la polizia aveva esercitato un uso spropositato della violenza nei confronti di cittadini di colore, hanno riproposto la rabbia di migliaia di persone (moltissimi i bianchi che si sono uniti alle proteste) contro un sistema che non sa trovare forme per regolamentare la propria forza se viene esercitata contro un diverso, che non è solo nero, ma può essere anche chi volta le spalle ad un poliziotto che solo per questo spara.
Il sistema americano di repressione dei reati - statistiche e percentuali alla mano di chi delinque nell'ambito delle singole comunità etniche - colpisce in prevalenza persone di colore, che hanno certo le loro colpe (le responsabilità sono personali, anche se bisogna sempre considerare l'ambiente in cui i soggetti crescono e si formano caratterialmente) . Non può essere solo una mera coincidenza che intorno al nero che abita nella suburbia delle metropoli s'è alimentata una scontata narrazione fatta di violenza e, per questo, se la polizia interviene, lo fa con durezza. Anche se chi porta la divisa è un nero o un ispanico o un asiatico. Insomma uno che con la maggioranza bianca non ha nulla a che spartire.
La violenza di alcune frange dei 'Black lives matter' ha superato i limiti della protesta ordinata e civile e si è tradotta in atti di violenza che, come purtroppo spesso accade, sono stati rivolti contro negozi e beni comuni, nel presupposto che chi ne fosse proprietario o titolare qualche colpa la deve pure avere.
Ma se questo è quello che per i repubblicani è il simbolo del degrado amministrativo delle città guidate dai democratici, c'è l'altra faccia della medaglia, quella che vede gruppuscoli di suprematisti bianchi continuare a rimpinguare i loro arsenali personali nella certezza che sta per arrivare il momento della resa dei conti. E loro, a quel momento, vogliono arrivare preparati. In qualsiasi altro Paese occidentale queste milizie vedrebbero il loro raggio d'azione circoscritto e arginato da polizia e magistratura. Ma i suprematisti americani si fanno forti del secondo emendamento della Costituzione, che garantisce a tutti i cittadini il diritto di armarsi per difendersi. E il secondo emendamento non fa distinzione su quali armi siano consentito e quali no, perché a questo i padri fondatori non avevano pensato in un'epoca in cui al massimo ci si poteva armare con un fucile o una pistola ad avancarica.
Oggi di armi ce ne sono talmente tante in giro che, ciclicamente, qualcuno ne chiede una regolamentazione. Eppure questi miliziani girano per le città esibendo con fierezza da uomini della frontiera (come in fondo si sentono) fucili d'assalto a tracolla, pistole a fondina e cinturone, in tutto corroborato dalla dotazione di centinaia di proiettili.
Intanto tra la gente comune - schierata qui e là, senza essere disposta a menare le mani - comincia ad attecchire il pensiero che l'appello implicito lanciato da Donald Trump a vegliare sulla sua vittoria e rivolto ai "bravi ragazzi'", tutti bianchi, tutti imbevuti di suprematismo e sovranismo, possa essere raccolto da qualcuno che non si limiti a vociare per strada. La peggiore immagine che l'America sta dando di sé proprio in queste ore sono le lastre di legno con cui molti condomini del centro di Washington hanno blindato finestre e vetrine.
Un clima di tensione che non potrà che avere ripercussioni sull'economia americana, se - nel caso più deprecabile - gli scontri passeranno dalle parole ai fatti, perché alla fine, quale che sia il nome del candidato vincente, i sostenitori dello sconfitto non accetteranno passivamente l'esito delle urne. Non siamo comunque a scenari apocalittici, ma il moltiplicarsi di uomini in divisa sulle strade delle metropoli americane lascia pensare che le autorità non se la sentano proprio di sottovalutare la minaccia di disordini. Il termometro della situazione sarà domani la Borsa, come sempre accade. Molto del futuro immediato degli Stati Uniti si potrà capire da come Wall Street aprirà.
''God bless America'' sono le prime parole del brano di Irving Berlin nel 1918 e resa famosa qualche decennio dopo da Kate Smith.
Ecco forse questa invocazione mai come in queste ore dovrebbe essere ascoltata. Da tutti.