Tra rinvii strategici, vertici di fuoco e dossier spinosi, l’Europa punta su dialogo perseverante. Bessent rilancia, ma i nodi restano.
A Bruxelles, dietro il linguaggio paludato delle note ufficiali, si respira l’inquietudine di un negoziato che si sta trasformando in una guerra di nervi. L’Unione Europea resta in silenziosa attesa, i dazi americani pendono come una spada di Damocle e i margini per evitare un’escalation commerciale si assottigliano. L’amministrazione Trump ha ufficialmente rinviato al 1° agosto la decisione definitiva sull’eventuale aumento delle tariffe doganali, ma nessuno a Bruxelles scommette davvero su una svolta positiva.
A rendere ancora più teso il quadro è il segretario al Tesoro Usa, Scott Bessent, che da Washington ha rilanciato la linea muscolare della Casa Bianca annunciando “una raffica di nuovi accordi commerciali” e celebrando le entrate generate dai dazi, che secondo i suoi calcoli avrebbero già sfiorato l’1% del Pil statunitense. Peccato che l’Europa non figuri, almeno per ora, tra i beneficiari di questa pioggia di intese.
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A provare a smuovere le acque è Emmanuel Macron, che vola a Berlino per un confronto cruciale con il cancelliere Friedrich Merz. Sul tavolo c’è l’intera strategia Ue: da un lato la possibilità di una rappresaglia coordinata in caso di un’escalation al 30% voluta da Trump, dall’altro i dossier sospesi come il trattato Mercosur, anch’esso diventato ostaggio del clima internazionale.
Il ministro francese dell’Economia, Marc Ferracci, è stato netto: “Siamo fermi, e questo è inaccettabile. Serve un cambio di metodo”, ha detto intervenendo davanti a imprenditori e sindacati francesi. Il messaggio all’Europa è chiaro: non si può più tergiversare.
Ursula guarda a Tokyo, ma lo sguardo resta fisso su Washington
Nel frattempo, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha scelto il Giappone come teatro per lanciare il suo messaggio: “Viviamo in un mondo che cambia rapidamente e dobbiamo affrontarlo restando fedeli a economie aperte, società sicure e regole eque”, ha dichiarato all’arrivo a Osaka.
Il suo viaggio è diretto anche verso Pechino, dove l’Unione tenterà di stringere le maglie su dumping, sovraccapacità e regole commerciali. Ma lo scacchiere globale impone un equilibrio sempre più difficile: da una parte Xi Jinping e Li Qiang, dall’altra Donald Trump, in un doppio confronto che chiede all’Ue di parlare con una sola voce e di mostrare i muscoli quando serve.
Il bazooka Ue è carico, ma resta sotto chiave
A Bruxelles, il team del commissario Maros Sefcovic lavora dietro le quinte. La strategia ufficiale è “dialogare e negoziare”, ma le opzioni di risposta sono pronte. Sono già state messe nero su bianco tre diverse liste di contromisure tariffarie, da attivare progressivamente in caso di rottura.
Tra le opzioni più rapide c’è il cosiddetto strumento anti-coercizione, attivabile direttamente dalla Commissione. Questa misura permetterebbe ai governi europei di colpire settori sensibili degli Stati Uniti senza esporsi politicamente in modo frontale.
Più lenta è invece la via classica dei dazi di rappresaglia, che richiederebbe il doppio via libera del Consiglio e del Parlamento europeo. In ogni caso, la priorità politica resta contenere le tariffe americane al 15%, con l’idea, ambiziosa ma realistica, di riportarle verso il 10% ottenuto dal Regno Unito.
Stoccolma al centro della diplomazia mondiale
In questo clima di sospensione, tutti gli occhi si spostano su Stoccolma. Lunedì e martedì prossimi la capitale svedese ospiterà un round cruciale di negoziati tra Stati Uniti e Cina, con l’Unione Europea pronta a giocare un ruolo laterale ma non secondario.
La missione europea, appena rientrata dall’Asia, punta a sfruttare ogni spazio per contenere la tensione e riproporsi come attore negoziale globale. Ma la finestra temporale si restringe. Se Trump decidesse di alzare i dazi al 30% senza preavviso, il rischio concreto è una reazione a catena su agricoltura, automotive, tecnologia e servizi digitali, con ripercussioni pesantissime sul commercio intra-occidentale.
Il capitolo più sensibile resta infatti quello dei servizi e delle Big Tech: ogni azione Ue in tal senso richiederebbe un doppio passaggio istituzionale, rendendo la risposta più lenta e politicamente complessa.
Non una tregua, ma un equilibrio instabile
Non si tratta più di decidere se ci sarà uno scontro, ma quando. Le dichiarazioni ottimistiche di Bessent – che ha promesso “sostanziali investimenti” negli Stati Uniti – nascondono una logica semplice: chi vuole accedere al mercato americano dovrà pagare un prezzo.
Trump non sembra avere alcun incentivo a cedere: i dazi funzionano come leva interna ed esterna, fanno cassa, mobilitano l’elettorato, intimidiscono alleati e avversari. L’Europa, invece, cammina sul filo. Deve difendere i propri interessi senza cadere nella trappola del nazionalismo commerciale.
Il pericolo è perdere il controllo della narrazione, farsi dettare la linea dalle uscite estemporanee di Washington e dalle spinte centrifughe interne. La chiave sarà tenere il fronte unito, consolidare il legame con i partner asiatici e dimostrare, nei fatti, che la politica commerciale europea può essere flessibile, ma non arrendevole.