Ucraina: anche lo sport entra nel grande gioco della guerra
- di: Redazione
Quando sono partite le prime immagini che introducevano alla visione dell'incontro di Champions tra Liverpool e Inter in pochi forse hanno posto attenzione al fatto che la musica non era più quella solita, le note del concerto n.1 per piano di Petr Ilic Čajkovskij, che per anni ha accompagnato la pubblicità di Gazprom, main sponsor delle competizioni internazionali europee di calcio. Sponsor sino a quando Putin non ha lanciato i suoi carrarmati dentro i confini ucraini. Gazprom, infatti, fa parte, come moltissime altre società russe, della black list dell'Occidente. Lo sport, quindi, suo malgrado è entrato nel grande gioco della guerra, con tanti saluti allo spirito di Olimpia, che faceva deporre le armi e di cui, evidentemente, al Cremlino non interessa nulla.
Come sta reagendo il mondo dello sport al conflitto in Ucraina?
Oggi, nel conflitto tra la Russia e l'Occidente, tutto serve, tutto è funzionale, anche coinvolgere una attività che, almeno a parole, con la guerra ha poco a che spartire.
La realtà però è diversa, perché lo sport ci viene fatto entrare sempre. Come dimostra il caso del ginnasta russo Ivan Kuliak, un ragazzotto di appena vent'anni che sino a qualche mese fa indossava la divisa dell'esercito e che, salendo a Doha sul gradino più basso di un podio che vedeva al più alto un atleta ucraino, ha pensato bene di mettere sulla sua maglietta la ''zeta'', con cui sono contrassegnati i carri armati che stanno facendo strage di civili. '
'Zeta'' come simbolo, ''zeta'' come riaffermazione della propria identità politico-etnica, ma anche sottolineatura di come questa guerra ormai si combatte a tutti i livelli. Dopo, come sempre accade, Kuliak ha detto d'essere stato frainteso, che lui à un sostenitore della pace. Ma lo ha detto quando la Federazione mondiale gli ha anticipato che sarà squalificato.
Le società sportive russe, ma anche i singoli atleti, di fatto sono stati banditi da tutte le competizioni internazionali, una cosa che sta avendo forti ripercussioni anche sul piano economico perché questo significa l'azzeramento delle entrate, ma anche la cancellazione della loro visibilità che abbatte gli introiti da sponsorizzazioni. Cosa che fa molto male alla Russia che, negli ultimi anni, ha molto confidato su questo veicolo di autopromozione.
La reazione dell'Occidente alla Russia sul piano sportivo ormai è generalizzata e se la cancellazione della Gazprom come main sponsor della Champions è stata in qualche modo ammortizzata (il suo posto è stato preso da una società internazionale - ma di cuore americano - di spedizioni), l'offensiva si muove tra più piani, tutti devastanti per l'immagine globale della Russia. Mai, forse, come in queste settimane un evento esterno allo sport ha avuto su di esso tali e tante ripercussioni. Perché, restiamo all'esempio di Gazprom, la sua uscita dal calcio internazionale è coincisa con l'interruzione della sua (ricca, molto ricca) sponsorizzazione con lo Schalke 04, storica squadra tedesca, anche se oggi milita della seconda divisione (la nostra serie B).
Quindi, tutti i soldi che Gazprom mandava all'estero per puntellare la sua immagine di azienda energetica globale ora stanno tornando all'ovile e facendo sì che le sole sponsorizzazione che le danno visibilità sono domestiche, come lo Zenit di San Pietroburgo. Un paradosso, perché lo Zenit è la squadra del cuore di Vladimir Putin, che a San Pietroburgo è nato e che forse è anche la motivazione principale della ricchissima sponsorizzazione di Gazprom.
E' intanto già cominciato l'esodo verso l'Occidente di calciatori e cestisti che militavano sino a ieri in squadre russe che hanno ricevuto un cartellino rosso per le competizioni internazionali. Cosa che ha un costo, soprattutto in termini di mancati introiti e anche lo sport russo, generosamente sostenuto dagli oligarchi, si trova ormai allo stremo, dopo la sua messa al bando. Anche perché le federazioni internazionali hanno dato la possibilità agli atleti stranieri che militavano in squadre russe di stracciare i loro contratti e trovare casa altrove.
Come ha fatto il cestista georgiano Tornik'e Shengelia (con un passato nella Nba) accasatosi alla Virtus Bologna, dopo avere lasciato la Cska Mosca, una polisportiva sempre ai massimi livelli e che gravita nell'orbita dell'Armata russa. L'espulsione della Russia dal mondo dello sport è stata generale, con pochissime eccezioni. Nel tennis professionistico della Atp e della Wta, ad esempio, i russi continuano a gareggiare a livello internazionale. Ma lo stesso non potranno fare le squadre nel basket, nel calcio o in altre discipline collettive. Non è stato toccato il basket della Nba, dove i russi non sono presenti da parecchi anni (gli ultimi, in ordine di tempo, sono stati Joel Bolomboy, americano di passaporto e di origini congolesi; Timofej Mozgov e Alexej Shved). Non è stato toccato, invece, l'hockey della Nhl per il solo motivo che i russi sono moltissimi e il loro allontanamento sarebbe un colpo durissimo per la Lega.
Questo ostracismo allo sport russo sta raggiungendo anche punte di parossismo, come nel caso di Nikita Mazepin, pilota del team (americano) di Formula 1 Haas, messo alla porta, insieme al suo ricco sponsor personale, Uralkali. Mazepin - che nei mesi in Formula 1 non è mai andato oltre la quattordicesima posizione - appartiene a quella categoria di piloti che si conquistano una vettura grazie a sponsor personali, come appunto Uralkali, gigante globale dei fosfati, nell'orbita del padre, Dimitrij, oligarca a tutto tondo.
Bisogna comunque dire che Mazepin - sistematicamente battuto in pista e in qualifica dal compagno di scuderia Mick Schumacher (buon sangue non mente) - non è che sia un mostro di simpatia, come da sussurri provenienti dalla scuderia, perseguitato da una fama di bad boy, con tanto di video che lo ritraggono in palpatine varie. Tanto da essere etichettato come il pilota più odiato del circus. Chissà se i sette miliardi di dollari di ricchezza personale del padre lo aiuteranno a sbollire la rabbia.
Ma c'è chi ha fatto il grande gesto. Roman Abramovich ha infatti lasciato il Chelsea, rinunciando al prezzo di cessione (parliamo di oltre un miliardo e mezzo di euro), che sarà devoluto alle vittime della guerra. Ma il Chelsea, per Abramovich, era un giocattolo. Costoso, ma sempre qualcosa con cui divertirsi.