La tregua mancata a Gaza e l’ombra delle strategie geopolitiche

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 

Israele colpisce due scuole-rifugio gestite dall’ONU nel cuore di Gaza. Antony Blinken parla, i suoi toni morbidi celano la pressione americana su uno scenario che sembra ormai sfuggire da ogni logica di tregua. Negoziare, insiste il Segretario di Stato, ma le parole si scontrano con la polvere sollevata dalle bombe.

La tregua mancata a Gaza e l’ombra delle strategie geopolitiche

Per comprendere la crisi odierna, bisogna guardare oltre i lanci di razzi e le dichiarazioni ufficiali: Hamas, fin dal 7 ottobre 2023, ha tentato di allargare il conflitto, cercando di coinvolgere Hezbollah e altri attori regionali. Tuttavia, l’Iran e il movimento sciita libanese hanno scelto un’attesa tattica, lasciando Hamas isolato. Il risultato? Un logoramento progressivo, in cui Gaza, più che campo di battaglia, si rivela pedina di uno scacchiere geopolitico.

Intanto, ad Aleppo, Ahmad Sharaa – meglio conosciuto come Jolani – emerge come nuovo interlocutore della Siria. Sostenuto dalla Turchia, il leader jihadista propone un patto: abbandonare il conflitto diretto con Israele, rassicurare l’Occidente sui migranti e il terrorismo, in cambio della fine delle sanzioni internazionali. Questo pragmatismo mascherato da realismo geopolitico serve non solo a garantire la sopravvivenza del suo potere, ma a presentarsi come ago della bilancia regionale.

A margine, l’ONU si muove con una risoluzione proposta dalla Norvegia, approvata da una larga maggioranza. Si chiede alla Corte Internazionale di Giustizia di valutare gli obblighi di Israele per garantire l’accesso agli aiuti umanitari. Una mossa simbolica, che rischia di restare tale davanti all’intransigenza di Washington e Tel Aviv.

Il quadro, però, è più ampio: l’assenza di una pressione reale sui leader regionali, l’indifferenza per il dramma umano, il cinismo di chi arma le parole e le bombe, costruiscono una narrazione destinata a giustificare l’immobilismo. Gaza non è solo guerra, ma teatro di un’ipocrisia collettiva, in cui la pace si invoca a bassa voce, mentre gli interessi scorrono forti e chiari.

In questo gioco, chi perde davvero non siede ai tavoli del potere. Sta nei rifugi trasformati in macerie, nei corpi senza nome sotto le rovine. La tregua, così lontana, diventa l’ennesima chimera di un Oriente che brucia, mentre l’Occidente osserva.

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