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Tavares: l’Europa rischia di svendere le fabbriche auto ai cinesi

- di: Bruno Coletta
 
Tavares: l’Europa rischia di svendere le fabbriche auto ai cinesi
Tavares: l’Europa rischia di svendere le fabbriche ai cinesi
“Un errore imporre un’unica tecnologia”: l’ex capo di Stellantis avverte sui rischi sociali della corsa all’elettrico, mentre i costruttori cinesi avanzano nel mercato europeo.

Per Carlos Tavares il conto della transizione verde europea rischia di arrivare sotto forma di cancelli chiusi, cortei davanti alle fabbriche e nuovi padroni con passaporto cinese. L’ex amministratore delegato di Stellantis, oggi svincolato dai toni prudenti del ruolo, ha scelto una conferenza economica a Santa Maria da Feira, nel nord del Portogallo, per lanciare l’avvertimento più netto degli ultimi anni: se l’Unione europea continuerà a spingere l’industria verso una sola soluzione tecnologica, i costruttori del Dragone finiranno per rilevare un pezzo importante della manifattura auto del Vecchio Continente.

Al centro del suo ragionamento c’è un numero: 10%. Secondo Tavares, nel giro di cinque anni i marchi cinesi potrebbero arrivare a coprire una quota a due cifre delle vendite di nuove auto in Europa, pari – a legislazione e domanda attuali – a circa 1,5 milioni di veicoli l’anno. Una massa critica sufficiente, nelle sue stime, a rendere superflui fino a dieci stabilimenti europei, con tutto ciò che ne consegue per l’occupazione e la tenuta sociale delle aree industriali.

L’affondo contro Bruxelles: “Ideologia invece di concorrenza di idee”

Davanti alla platea di imprenditori e amministratori locali riuniti per un appuntamento dedicato a export e investimenti, Tavares ha attaccato la strategia europea sulla mobilità a zero emissioni. Invece di fissare obiettivi ambientali chiari – ha sostenuto – l’Europa avrebbe scelto di imporre una sola tecnologia, orientando l’intera filiera verso l’auto elettrica a batteria e soffocando lo sviluppo di soluzioni alternative come ibrido evoluto, biocarburanti o idrogeno.

Nel suo j’accuse, il manager portoghese parla di una sorta di assalto dogmatico all’industria automobilistica, iniziato con l’inasprimento regolatorio seguito al dieselgate e proseguito con il divieto alla vendita di nuove auto endotermiche dal 2035. Una linea che, a suo giudizio, avrebbe regalato ai costruttori cinesi un vantaggio di circa un decennio sull’elettrico: mentre in Europa si discuteva di norme, Pechino costruiva catene del valore integrate, dalla batteria al software.

Il risultato è duplice. Da un lato, i gruppi europei affrontano investimenti miliardari a redditività incerta. Dall’altro, l’arrivo in massa di auto cinesi a basso costo – spesso prodotte con il sostegno diretto o indiretto dello Stato – comprime i margini e toglie ossigeno a stabilimenti già sotto pressione.

Dieci fabbriche a rischio e “pneumatici in fiamme”: lo scenario di Tavares

Tavares non si limita ai numeri, ma tratteggia uno scenario politico e sociale molto concreto. Se la quota dei marchi cinesi in Europa salisse davvero al 10% delle immatricolazioni, l’equivalente produttivo di dieci impianti europei resterebbe senza “ragion d’essere”. A quel punto, secondo l’ex CEO di Stellantis, partirebbero manifestazioni, scioperi, blocchi stradali.

È in questa fase, sostiene, che entrerebbero in scena i nuovi protagonisti. Investitori cinesi pronti a presentarsi ai governi europei con un’offerta: rilevare stabilimenti in difficoltà a prezzi simbolici, con la promessa di salvare la maggior parte dei posti di lavoro e di riconvertire la produzione su modelli e piattaforme sviluppati in patria.

Per Tavares si tratterebbe di una sorta di “nazionalizzazione al contrario”: i governi, sotto pressione per difendere l’occupazione, finirebbero per accettare soluzioni che, nel breve periodo, evitano la chiusura di siti industriali strategici, ma nel lungo spostano il baricentro tecnologico ed economico fuori dall’Europa.

Auto cinesi in Europa: la corsa è già cominciata

Al di là delle immagini volutamente forti, i numeri dicono che la presenza cinese non è più un’ipotesi da convegno. Negli ultimi anni la quota delle auto prodotte da marchi cinesi è salita rapidamente, soprattutto nel segmento delle elettriche, dove la combinazione di prezzi aggressivi, tecnologie di batteria mature e tempi di sviluppo corti sta rosicchiando spazio ai costruttori storici.

Sullo sfondo c’è una transizione che accelera ma in modo disomogeneo. Nei Paesi con redditi più elevati e infrastrutture di ricarica capillari le auto a batteria hanno conquistato quote a doppia cifra, mentre in molte economie europee restano un prodotto di nicchia, frenate da prezzi ancora elevati e da ansie di autonomia.

In risposta alla pressione competitiva, Bruxelles ha aperto un’indagine sulle possibili sovvenzioni pubbliche alle case cinesi, sfociata in un sistema di dazi aggiuntivi sulle importazioni di veicoli elettrici. Una barriera concepita per compensare il sostegno di Pechino, ma che da sola – avvertono molti analisti – non basta a colmare il divario di costo e di scala.

Industria divisa tra più tempo e paura di perdere il treno

Le parole di Tavares arrivano in un momento in cui lo stesso fronte industriale europeo appare diviso. Da un lato, associazioni di costruttori chiedono di rivedere le traiettorie di riduzione della CO₂ per le auto, giudicando “non più realistiche” alcune tappe intermedie fissate per il 2030 e il 2035 e invocando obiettivi più flessibili.

Dall’altro lato, molte case stanno cercando alleanze per sopravvivere alla guerra dei prezzi. Negli ultimi mesi sono aumentati i progetti congiunti su piattaforme elettriche, software e componentistica, con partnership tra gruppi europei e, in alcuni casi, con lo stesso capitale cinese, in un intreccio di interessi che rende ancora più complesso il quadro.

Non meno significativo è il fronte delle flotte aziendali. Alla vigilia di nuovi pacchetti normativi, costruttori e grandi società di noleggio hanno chiesto a Bruxelles di evitare obblighi rigidi sulla quota di elettriche nei loro parchi auto, giudicandoli troppo costosi e poco realistici alla luce delle attuali condizioni di mercato.

Il caso Stellantis e il rischio “spezzatino” evocato dall’ex CEO

Le critiche di Tavares non riguardano solo la politica europea, ma anche il destino del gruppo che ha guidato fino a pochi mesi fa. In un libro uscito in autunno, l’ex CEO ha immaginato uno scenario in cui Stellantis potrebbe finire spezzata: la parte europea – in particolare le attività francesi e italiane – diventerebbe preda appetibile per investitori cinesi, mentre i marchi americani tornerebbero sotto controllo statunitense.

È un’ipotesi estrema, ma che mette il dito su un nervo scoperto: la difficoltà di tenere insieme culture industriali diverse, pressioni politiche nazionali e un contesto competitivo in cui la scala globale è indispensabile, ma non sufficiente, per sopravvivere.

Sullo sfondo restano i nodi italiani: la capacità produttiva in esubero, le tensioni con il governo di Roma sul livello di investimenti nel Paese, il dialogo a volte conflittuale con i sindacati sui piani di riorganizzazione degli stabilimenti di Mirafiori, Pomigliano e Melfi. Se la profezia di Tavares sulle fabbriche “cedute” ai cinesi dovesse avverarsi, è difficile immaginare che l’Italia ne resterebbe ai margini.

L’Europa alla ricerca di una nuova bussola per la transizione

Intanto, a Bruxelles si discute già di possibili correzioni di rotta. Alla luce del rallentamento della domanda di veicoli elettrici, dell’avanzata cinese e delle tensioni commerciali globali, all’interno dell’UE cresce il fronte di chi chiede di rivedere tempi e modalità dello stop ai motori termici nel 2035. Non tanto per rinnegare gli obiettivi climatici, quanto per adattarli a una realtà industriale che rischia di non reggere l’urto.

Il dibattito ruota intorno a due domande di fondo:

  • come rendere l’auto elettrica economicamente accessibile al ceto medio europeo, senza sovraccaricare di sussidi i bilanci pubblici;
  • come evitare che la transizione si traduca in un trasferimento di valore e posti di lavoro dall’Europa verso Asia e Stati Uniti.

Tavares offre una risposta radicale: meno ideologia, più neutralità tecnologica, più concorrenza di soluzioni. I governi, invece, faticano a trovare una sintesi tra le richieste – spesso divergenti – di costruttori, ambientalisti, lavoratori e consumatori.

Auto e politica industriale: il bivio europeo

Tra le righe delle dichiarazioni di Tavares c’è un messaggio semplice e scomodo per governi e istituzioni europee: la transizione ecologica non è solo una questione di target climatici, ma anche di politica industriale, di potere contrattuale e di difesa del lavoro. Le prossime decisioni su norme, dazi, incentivi e sostegno alla ricerca determineranno se l’Europa resterà uno dei poli industriali dell’auto o se diventerà soprattutto un grande mercato di sbocco per la produzione altrui.

Nel frattempo cresce il dibattito pubblico. Le parole dell’ex CEO di Stellantis fotografano un rischio che lavoratori, amministratori locali e governi non possono più permettersi di archiviare come semplice esercizio retorico da conferenza: chi controllerà davvero la prossima generazione dell’industria automobilistica europea e quante delle fabbriche oggi in attività continueranno a parlare, domani, con accento europeo.

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