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La tassa sugli extraprofitti delle banche non piace alla Bce

 
La tassa sugli extraprofitti delle banche non piace alla Bce
La misura della tassazione sugli extraprofitti delle banche - che anche ieri, in occasione dell'Assemblea dei vertici di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni ha difeso a spada tratta, facendo un 'must'' dell'azione del suo governo - non va proprio giù alla Bce che, in un documento di sei pagine, a firma Christine Lagarde, fatto arrivare ieri al Tesoro, stigmatizza la misura varata con l'obiettivo di fare entrare nella casse dello Stato il 40% di aliquota sull’incremento superiore al 10% del margine di interesse delle banche italiane del 2023 rispetto al 2022.

La tassa sugli extraprofitti delle banche non piace alla Bce

L'Italia, comunque, non è la sola nel mirino delle critiche della Banca centrale europea che ha in precedenza sollevato dubbi anche su misure simili decise dai governi di Spagna e Lituania.
Nel documento si sostanziano rilievi sia di tipo formale che di profilo sostanziale e che si riconducono ad un ''invito'' a considerare con attenzione - magari con una riformulazione, par di capire - le ricadute che l’imposta potrebbe avere sul credito in Italia. La richiesta si esplicita quindi nella raccomandazione che il governo accompagni il decreto legge con una ''analisi approfondita delle potenziali conseguenze negative per il settore bancario, che illustri in particolare l’impatto specifico dell’imposta straordinaria sulla redditività a più lungo termine e sulla base patrimoniale, sull’accesso ai finanziamenti e sulla concessione di nuovi prestiti e sulle condizioni di concorrenza sul mercato, e il suo potenziale impatto sulla liquidità''.

Quindi, argomentazioni circostanziate che ora il Tesoro dovrà tenere in considerazione quando dovrà mettere mano alla revisione della base imponibile dell’imposta, con un occhio agli investimenti delle banche nei nostri titoli di Stato. Comunque tutto è rimandato all'esame del decreto in Parlamento, dove si potrebbe/dovrebbe ridurne l’impatto dai 2,5 miliardi di euro inizialmente stimati a meno della metà.
In concreto, tra le eccezioni sollevate dall'istituto di Francoforte, c'è che è ''dimostrato che il reddito netto da interessi solitamente tende ad espandersi man mano che aumentano i tassi di riferimento''. Ma ''con il procedere del ciclo restrittivo, tale effetto positivo sul reddito può essere compensato da minori volumi di prestiti, maggiori costi di finanziamento, perdite registrate nel portafoglio titoli e da un aumento degli accantonamenti derivante dal potenziale deterioramento della qualità del portafoglio creditizio”.

Da qui una considerazione che deve essere tutta verificata: ''L’effetto netto di una politica monetaria più restrittiva sulla redditività delle banche misurato sull’intero ciclo di definizione delle politiche può pertanto essere meno positivo, se non negativo, su un orizzonte temporale esteso''. C'è poi una considerazione, per così dire, di prospettiva dal momento che, dice la Bce, ''poiché la determinazione dei destinatari dell’imposta straordinaria si basa anche sul reddito netto da interessi nel 2023, tali enti creditizi possono registrare utili o perdite inferiori nel momento in cui l’imposta è effettivamente riscossa''.

Quindi, la valutazione di oggi deve essere confermata domani da evidenze che potrebbero dimostrarsi ben diverse da quelle originariamente ipotizzate. Per questo, dice l'istituto centrale europeo ''occorre prestare cautela per garantire che l’imposta straordinaria non incida sulla capacità dei singoli enti creditizi di costituire solide basi patrimoniali e di effettuare adeguati accantonamenti per maggiori svalutazioni e un deterioramento della qualità creditizia''. C'è poi una argomentazione simile a quella avanzata nei confronti delle misure adottate in Spagna e Lituania, cioè che ''imporre un’imposta straordinaria al settore potrebbe rendere più complicato per gli enti creditizi accumulare riserve supplementari di capitale in quanto i loro utili non distribuiti si ridurrebbero, e ciò diminuirebbe la loro capacità di tenuta di fronte a shock economici", mettendo un freno, quindi, alla loro capacità di credito.
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