Gli stranieri in Italia producono l’8,8% del Pil e "pagano" più di quanto ricevono

- di: Redazione
 
Gli stranieri in Italia contribuiscono al PIL con 164 miliardi di euro di ricchezza (valore aggiunto) prodotta, pari all’8,8% del PIL nazionale. Dal punto di vista fiscale, i 4,6 milioni di contribuenti immigrati fanno registrare un saldo fiscale attivo, con tasse e contributi che superano i servizi di welfare dedicati agli immigrati (+1,2 miliardi). In altre parole, gli immigrati sono prevalentemente lavoratori e contribuenti attivi, quindi, pagano tasse e contributi e hanno un basso impatto sulla spesa pubblica.
Sono due dei principali dati che emergono dal Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione svolto dalla Fondazione Leone Moressa, un’analisi basata su dati Istat ed Eurostat.

Gli immigrati sono una componente vitale per il Paese

La popolazione immigrata rappresenta oggi una componente vitale in Italia a livello demografico, con un’età media molto più bassa rispetto alla componente autoctona (35,7 anni contro 46,9) e un tasso di natalità molto più alto (10,4 nati per mille abitanti tra gli stranieri, 6,3 tra gli italiani). Oltre al saldo naturale (differenza tra nascite e decessi), anche il saldo migratorio (arrivi – partenze) è positivo per gli stranieri e negativo per gli italiani. In altri termini, la popolazione immigrata sta, già oggi, arginando il calo demografico in corso, con conseguenze anche a livello economico, assistenziale e fiscale.

Pochi i permessi di lavoro

Sono pochi i permessi di lavoro rilasciati in Italia soprattutto in professioni a bassa qualifica. L’Italia registra una percentuale di Permessi per lavoro tra le più basse d’Europa: nel 2022 gli ingressi per lavoro sono stati il 19,8% degli ingressi totali, contro una media Ue del 35,8%. Diversi Paesi, soprattutto dell’Est Europa, registrano invece percentuali superiori al 70%. Anche confrontando i Permessi di soggiorno per lavoro con la popolazione residente, la media italiana è tra le più basse d’Europa: 11,3 ogni 10 mila abitanti. A livello Ue, la media è invece di 27,8 Permessi per lavoro ogni 10 mila abitanti. L’analisi per tipologia di professione evidenzia una concentrazione di stranieri in alcune professioni. Gli occupati stranieri tendono a svolgere professioni meno qualificate: solo l’8,7% di questi occupati svolge una professione qualificata o tecnica, mentre il 30% si colloca in professioni a bassa qualifica. Considerando l’incidenza per tipologia di professione, se mediamente abbiamo un occupato straniero su 10, tra il personale non qualificato il valore cresce al 29% e tra gli operai artigiani al 14,7%. Mentre nelle professioni più qualificate scende al 2,5%.

Il numero degli stranieri supera i 5 milioni

In generale, la popolazione straniera censita residente in Italia è pari a più di 5 milioni e 141mila persone, l’8.7% del totale. Di questi, 2 milioni e 374mila sono gli occupati, circa il 10 per cento degli occupati del Paese; l’Irpef versata supera i 10 miliardi annui.

L’immigrazione gestita e regolata offre un contributo positivo

In definitiva, l’immigrazione, a patto che sia gestita e regolata, offre dunque un contributo positivo a livello demografico, economico e sociale. Evidentemente, però, essa non può essere l’unica risposta alla recessione demografica. Occorre, parallelamente, investire su politiche a medio-lungo termine che consentano alle famiglie e ai giovani di essere nelle condizioni per tornare a fare figli. L’Italia rappresenta forse l’esempio più significativo di ‘inverno demografico’, con meno di 400 mila nascite e un numero medio di figli per donna pari a 1,24. Secondo le proiezioni Eurostat al 2070, nei prossimi cinquant’anni la popolazione residente in Italia dovrebbe passare da 59 a 53 milioni (-9,6%). Gli over 65, che oggi rappresentano il 24,0% della popolazione, arriverebbero al 33,6% del totale in meno di cinquant’anni.
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