Sindaco di Roma: la candidatura di Gualtieri spariglia le carte e le ambizioni di Virginia Raggi
- di: Diego Minuti
Strana l'atmosfera che si è creata intorno alle elezioni (imminenti o genericamente prossime, ancora non è dato sapere dipendendo dall'evolversi della pandemia) per il sindaco di Roma. Atmosfera strana perché questo appuntamento sembra interessare, al momento, non tanto gli abitanti di Roma - che dal futuro sindaco saranno amministrati, ma che forse aspirano a diventarne interlocutori ascoltati e non ignorati - quanto gli appassionati di scenari politici futuribili.
Certo, quando ci sarà l'ufficializzazione dell'intero lotto dei candidati, bisognerà realisticamente scartarne parecchi dalla ristretta rosa dei favoriti, pur se la speranza non può essere negata a nessuno. Ma dai più accreditati all'ambita carica si attende molto, anche perché è iniziato l'iter parlamentare che dovrebbe portare al riconoscimento di uno status particolare per Roma, attribuendole anche fondi ulteriori in virtù del suo essere capitale del Paese.
Una cosa di cui si discute da tanto (ma che spesso i vari sindaci - con Virginia Raggi in testa - hanno tirato fuori quando hanno battuto cassa) e che è stata colpevolmente accantonata ritenendola inattuabile. Ed invece non è così perché una capitale non è una semplice città, dovendo, in virtù del suo ruolo, fare fronte a situazioni che altrove non si manifestano. Pensiamo alle manifestazioni a carattere nazionale che ospita a getto continuo e che, quando finiscono, non è che lasciano la città più pulita di come l'hanno trovata. Ma questo è anche un problema di educazione del singolo e di senso civico.
Ma guardare a Roma in modo diverso, riconoscendole uno status particolare, sarebbe un passo importante. Certo non bisognerà pensare alla Roma del futuro come a qualcosa che somigli a Washington (che ha il suo distretto ed anche il suo bilancio molto più consistente di molte altre città degli Stati Uniti), ma avvicinarvisi sarebbe già un bel passo in avanti.
Ma se questo è il futuro auspicabile, ce n'è un altro che incombe e si restringe ai candidati che, mano a mano che si avvicina l'appuntamento elettorale, vengono allo scoperto. In attesa che spunti il candidato del centrodestra (verosimilmente, uno dei due più accreditati per il ballottaggio), partiamo, come è giusto che sia, dall'attuale sindaco, Virginia Raggi, che si è candidata a succedere a se stessa, anche se pure in seno al suo partito, i Cinque stelle, non è che raccolga grandi consensi.
La sua sindacatura, a detta di quasi tutti (a dissentire sono i suoi sostenitori 'acritici' tra i quali i più sfegatati sono quelli che a Roma non ci abitano nemmeno), non è stata delle migliori, contraddistinta da una politica del "no" (come quello alle Olimpiadi) che s'è ammorbidita col passare del tempo, quando forse ha capito che qualche decisione bisogna pure prenderla nella vita, magari non limitandosi al capitolo "funivia" che tanto l'appassiona, nonostante critiche e sfottò. I sostenitori di Virginia Raggi - anche forse per una pubblicistica domestica che ne celebra le iniziative con toni trionfali - ne sottolineano presunti successi che però cozzano con una realtà quotidiana in cui, nella mente dei romani, si agitano solo problemi, di genesi anche antica, ma che il sindaco in carica non ha saputo risolvere: dai più storici (le buche, la raccolta dei rifiuti) ad altri più recenti, ma non meno gravi (i trasporti pubblici), al degrado generale di una città che era la più bella del mondo e che ora non può più fregiarsi di questo titolo.
Ma a renderle ardua la nuova scalata al Campidoglio c'è soprattutto lei, Virginia Raggi, capace di fare e disfare la sua giunta in continuazione, con incarichi di grande responsabilità (e quindi grande retribuzione) a presunti manager fatti arrivare da fuori e per alcuni dei quali il ricordo dei romani sarà fortemente negativo. Per non dire altro.
Un'altra autocandidatura è quella di Carlo Calenda, che da un punto di vista umano raccoglie molti consensi, che però si inaridiscono quando si passa alla politica. Calenda è un genuino, uno che non cede all'ipocrisia e che per questo è sempre pronto a scendere sul ring della politica, per darle, ma anche per prenderle. Uomo impetuoso, se ce ne è uno, parte con l'handicap di non potere tradurre la simpatia e la stima in voti. Perché, se valesse solo essa - la simpatia -, non ce ne sarebbe per nessuno.
E poi c'è Roberto Gualtieri, ultimo arrivato, che però, quando le bocce sono ancora ferme, sembra avere ottime carte per aggiudicarsi l'intera posta in palio. Non solo per il suo (recente) passato di ministro dell'Economia, che gli ha garantito stima anche al di fuori dei nostri confini, ma per essere uomo di macchina, capace di lavorare sodo e di ottenere risultati. E Roma di risultati ha un bisogno estremo. A differenza dei suoi (ad oggi) più accreditati rivali, Gualtieri ha alcuni atout da giocarsi. Il primo è che, ancora prima di cominciare a lavorare in vista delle elezioni, sembra godere dell'appoggio del Pd, vecchio e nuovo, che almeno questa volta non può sbagliare candidato. E poi, cosa da non ignorare, i Cinque Stelle, lacerati e che a Roma sono una galassia a sé stante, potrebbero anche non seguire in massa l'appello che Beppe Grillo ha fatto in favore di Virginia Raggi che poco, anzi nulla ha fatto per fare della sua sindacatura qualcosa di memorabile, in positivo.
Perché, se si pensa al negativo, il cahier de doleance della Raggi sindaco rischia di avere centinaia di pagine.