Francesco Profumo: "Partire dalla formazione per una nuova classe dirigente"

- di: Redazione
 
Scuola Politica “Vivere nella Comunità”, il Prof. Francesco Profumo (Presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo e già Ministro), membro del Supervisory Board e del Corpo docente, spiega le finalità di questa importante iniziativa formativa nell’ambito di una riflessione più generale della situazione, dei livelli di qualità e delle tendenze del sistema paese nell’aspetto cruciale del suo ceto dirigente.

Prof. Profumo, la Scuola Politica “Vivere nella comunità”, di cui lei è membro del Supervisory Board e del Corpo docente, nella sua mission vuole aiutare a sbloccare il ritardo nell’ammodernamento e nell’efficienza del Paese, aumentando i livelli di competenza e preparazione del ceto politico, ma più in generale del ceto dirigente. Cosa occorre secondo lei per aumentare davvero la qualità della classe dirigente? Le vecchie scuole politiche hanno fallito la loro missione?
Vorrei rispondere a questa prima domanda, con un riferimento a Ulrich Beck, grande sociologo tedesco, che ci ha lasciato in eredità un fondamentale libro tradotto in Italia nel 2017. È intitolato La metamorfosi del mondo. In quest’opera Beck sottolinea, che il paradigma del cambiamento, è inadeguato a definire il tempo che stiamo attraversando, e punta sull’idea di metamorfosi: tra cambiamento della società e metamorfosi del mondo, spiega Beck, corre una differenza che non è solo di scala, ma di qualità e di grandezza. “Noi viviamo infatti - scrive Beck - in un mondo che non sta semplicemente cambiando, ma che è nel bel mezzo di una metamorfosi. Cambiamento significa che alcune cose mutano ma altre rimangono uguali [...]. La metamorfosi, invece, implica una trasformazione molto più radicale, in cui le vecchie certezze della società moderna vengono meno e nasce qualcosa di totalmente nuovo. Per cogliere questa metamorfosi del mondo è necessario indagare i nuovi inizi, puntare lo sguardo su ciò che sta emergendo dal vecchio, cercare d’intravedere, nel tumulto del presente, le strutture e le norme future”. È quello che abbiamo fatto in questi anni e, in particolare, in questi mesi. Sappiamo bene, che vi sono sfide complesse e intrecciate, che tornano, costantemente, nelle analisi globali ai massimi livelli. Le principali sono il rovesciamento della piramide demografica, il cambiamento climatico, l’imporsi di nuovi paradigmi tecnologici, le diseguaglianze crescenti, la crisi della democrazia e il diffondersi dei populismi, il nuovo innalzarsi dei debiti pubblici, un’economia che tarda a farsi sostenibile e circolare. Ha ragione Beck: si tratta di dinamiche tanto profonde e vaste che, a maggior ragione dopo la crisi legata alla pandemia, la sfida è per tutti, per l’Europa, l’Italia, il Nord Ovest, più che ripartire, è quella di ri-costruire su basi nuove. Ecco perché il punto di vista che la Compagnia intende adottare non sarà tanto quello di una mera “ripartenza” - come se a una crisi seguisse una semplice normalizzazione - ma piuttosto, a una “nuova costruzione”. Dobbiamo costruire, dunque, e la prima grande sfida - lo abbiamo detto - è la sostenibilità. I due poli principali sono il cambiamento climatico e la nascita, faticosa, dell’economia circolare. Da dove dobbiamo partire? Dalla formazione per costruire una nuova classe dirigente. La nostra Scuola Politica “Vivere nella Comunità”, ha anticipato questi indirizzi. Le vecchie scuole politiche hanno fallito la loro missione, perché non sono state capaci di leggere le nuove domande, formulare delle risposte adeguate e declinarle in modelli formativi.

Personalmente che cosa l’ha spinta a partecipare attivamente alla creazione della Scuola, dando vita a un qualcosa che non ha precedenti in Italia e che sta riscuotendo un grande successo?
La convinzione che l’Unione Europea continua a rappresentare un ancoraggio fondamentale per i Paesi membri e i loro abitanti. Alla fine del 2019 l’Unione ha varato il Green New Deal, riconosciuto a livello globale come un modello di riferimento per le future politiche verso la green economy. Poi è arrivata la pandemia. E l’Europa ha risposto con una svolta di grande respiro, che rappresenta un deciso cambio di passo. La Commissione europea, il Parlamento e i leader dell’UE hanno concordato il piano di ripresa che dovrà aiutarci ad uscire dalla crisi e getterà le basi per un’Europa più moderna e sostenibile. Il tracciato programmatico si articola intorno a tre macro-obiettivi fondamentale: Sviluppo di un’economia verde, Trasformazione digitale diffusa e Resilienza e Coesione a livello sociale. Ecco le priorità; la via, è tracciata. La Scuola Politica “Vivere nella Comunità” è la casa che guarda al futuro in questa ottica!

Tornando alla prima domanda, la Scuola politica “Vivere nella Comunità”, se si guarda alla sua denominazione intera, sembra non rivolgersi solo ai giovani dotati che vogliono impegnarsi in politica in senso stretto, ma più in generale a quelli che hanno come orizzonte il ruolo di ‘civil servant’, anche perché la crisi non riguarda solo il cento dirigente politico, ma più in generale il ceto dirigente nel suo complesso o almeno di quello pubblico e para pubblico. È effettivamente così?
Credo che sia necessario aprire una fase nuova, segnata da pluralismo ma non dispersione, creatività ma anche focalizzazione, ampiezza di visione insieme a convergenza. In altre parole, si richiede una forma avanzata di sussidiarietà, senza confusione di responsabilità, ma capace di attivare la risposta giusta al livello giusto e con la giusta governance. La Scuola Politica “Vivere nella Comunità” è pronta a portare il proprio contributo, anche sul piano delle ricadute territoriali, allo sforzo che è chiesto a tutto il nostro Paese.  L’insieme delle politiche pubbliche, con particolare riferimento al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sarà dunque un riferimento della nostra azione, insieme alla lettura dei bisogni specifici, delle peculiarità, dei punti di forza e di debolezza, dei segni di trasformazione che possiamo leggere sul nostro Paese. Alla luce di questa analisi, io credo che si debbano individuare abbiamo 6 dimensioni trasversali che devono permeare il nostro operare, a prescindere dal tema, e dunque dall’obiettivo/missione in cui ricadranno. Eccole: i saperi, intesi come un processo di formazione continua di ogni persona durante tutto il corso dell’esistenza, e come avanzamento della ricerca scientifica di base e applicata. Il benessere, lungo tutto il ciclo di vita, come concetto di vita “buona”, sana e attiva delle persone e delle comunità. Le opportunità, cioè uguali possibilità offerte alle persone per liberare il proprio potenziale individuale, favorendo la mobilità sociale, affiancando chi ha meno e investendo sui meritevoli. Le geografie, per valorizzare i territori, nelle loro diversità: aree interne, e a livello urbano: centro e periferie. La transizione verde, per dare e darci un futuro, come ecosistema. E infine, la transizione digitale come opportunità per superare divari, limiti e aprire nuove strade, per tutti. In sintesi, 6 dimensioni trasversali che risuonano con le parole d’ordine europee: resilienza, coesione e transizione. Declinate, come sempre fa la nostra Scuola Politica, insieme a tutti gli attori della società e in una logica di servizio.

Un ruolo chiave nel programma di formazione della Scuola lo svolge il concetto di ‘interdisciplinarietà’ della formazione. Quanto è importante oggi, per un giovane anche alla luce dei cambiamenti indotti dalle nuove tecnologie, avere una formazione interdisciplinare, quando per anni si è magnificata invece l’importanza di una formazione specialistica, a volte super specialistica.
Intendiamoci la nostra Scuola di Politica, si connota come un vero e proprio strumento per gli agenti dello sviluppo. Sono convinto che la nostra azione sarà ancora più efficace grazie alla collaborazione con altri attori. Prima di ogni altra azione, in questo momento, ci dobbiamo sentire chiamati ad accompagnare ogni nostro singolo studente, ad imparare a definire i bisogni, condividere gli obiettivi e individuare le risorse più adatte, in termini di competenze interdisciplinari. Con un’ambizione grande: moltiplicarne l’impatto di ogni azione. Perché oggi, ancora più di prima, è necessario sfruttare tutte le leve a disposizione, materiali e immateriali, per massimizzare l’efficacia di ogni nostra azione, a vantaggio di tutta la comunità. La grande sfida della massimizzazione dell’impatto è duplice: da un lato è quella di garantire gli effetti duraturi a livello di efficienza e di sostenibilità per gli enti beneficiari, e dall’altro di allargarne il perimetro a parità di risorse investite. Il confronto all’interno della nostra Scuola Politica può rappresentare un’occasione molto accattivante per individuare e investire sui fattori strutturali capaci di determinare sostenibilità ed efficienze di lungo periodo, affrontare problemi, studiare, sperimentare e modellizzare modalità operative che rendano più efficiente e incisiva la capacità di impiego delle risorse, comprese quelle esterne al perimetro della Scuola, come ad esempio i fondi della nuova programmazione europea.

Una spia molto significativa della necessità di creare una Scuola che tenti di aiutare a colmare i deficit di competenza, preparazione e visione è il fatto che vi abbiano aderito personalità di primissimo piano in vari settori e primarie aziende e fondazioni. Qual è il ruolo delle aziende e delle fondazioni nell’elaborazione dei programmi e nella gestione della Scuola?
Entrare in relazione con la Scuola Politica “Vivere nella Comunità” oggi significa poter attivare: un sistema di competenze, in parte interne e in parte esterne alla Scuola, per accompagnare la progettazione e la realizzazione degli interventi. Risorse di tipo culturale per il futuro del nostro Paese. Un affiancamento nel dialogo con attori pubblici e privati a livello macro-territoriale, nazionale e internazionale per stimolare le menti dei nostri giovani. Quindi, una Scuola che accompagna i giovani verso percorsi di sostenibilità, autonomia e innovazione, in una fase di transizione che durerà oltre una decina di anni. In altre parole, la formazione per la transizione, la vera sfida dell’Italia.

Tornando ai cambiamenti tecnologici, sempre più penetranti e accelerati, nella scheda sulla mission della Scuola si afferma che hanno “modificato le modalità di formazione dell’opinione pubblica e dato uno spazio enorme alla possibilità di manipolazione politica”. Un tema di cruciale importanza. Quale ruolo ha questo aspetto all’interno del vostro programma formativo?

Ho riflettuto, a lungo, su questo tema, per individuare quale ruolo può giocare al meglio una scuola di politica e quali sono gli elementi su cui intervenire. Sono arrivato alla conclusione che c’è un tema di filiera (come portare una idea dal laboratorio o dalla cameretta al mercato), in cui ci sono buchi – mancano punti di sostegno – e c’era un tema - di nuovo - di allineamento tra attori. Ho voluto contribuire a coltivare un ecosistema dell’innovazione, capace di attrarre e aggregare una pluralità di attori tra loro complementari: startup, investitori, grandi aziende, istituzioni pubbliche, istituzioni private, atenei, incubatori ed acceleratori e ho sperimentato che centrale è la disponibilità di: fondo perduto orientato alle prime fasi di vita di una idea; capitali pazienti, risorse da investire in una logica di lungo periodo coniugando rendimento e impatto; managerialità, le competenze necessarie per governare i processi innovativi e materializzarne gli impatti. Dal metodo ai temi. Io ho un approccio a 360 gradi all’innovazione e credo che questa debba essere favorita in tutti gli ambiti: certamente in quello scientifico e tecnologico, ma anche in quello sociale e culturale. Questo è quanto dobbiamo insegnare ai nostri giovani che frequentano la nostra Scuola Politica.

Il ‘mondo nuovo’, venuto avanti nel corso degli ultimi 30 anni trainato da innovazioni tecnologiche così forti e penetranti, sembra aver messo in discussione le vecchie categorie del rapporto tra pubblico e privato. Come, da questo punto di vista, va aggiornato - nella realtà specifica del nostro Paese - il concetto di ‘sussidiarietà’ espresso nella Costituzione italiana?
Per definire le strategie operative della Scuola è necessario, sia per il metodo che per i contenuti, insegnare l’uso intelligente di informazioni quantitative e dei dati. Questo è il nuovo modo di operare della formazione: un approccio basato su indicatori di prestazione (qualitativi e quantitativi) e sulla misurazione dei risultati (non solo numerici).  Le Scuole si devono avvalere di metodi didattici basati su dati di contesto raccolti in modo rigoroso – si pensi alle informazioni associate alla gestione dei progetti – sia da fonti statistiche pubbliche, sempre più numerose e specifiche, o anche da ricerche ad hoc. I dati sono oggi usati nella pianificazione, nella selezione, nel monitoraggio e nella valutazione dell’impatto dei progetti e sono funzionali non soltanto alla rendicontazione, ma anche per orientare gli interventi delle nostre aziende e istituzioni, verificare i processi e gli effetti delle azioni intraprese, se necessario anche ricalibrandole, condividerli con il sistema delle risorse cognitive, che consente di migliorare la qualità e l’aggiornamento del policy-making. A questo fine la Scuola, nel prossimo quadriennio, dovrà investire ulteriormente nelle proprie infrastrutture e piattaforme per la gestione e l’analisi dei dati, anche con l’obiettivo di acquisire ulteriori metodiche dalle sue relazioni con aziende ed istituzioni.
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