'Vivere nella Comunità', de Vecchi: "Felice di mettere la mia esperienza a disposizione degli alunni della Scuola Politica"
- di: Redazione
Intervista a Luigi de Vecchi, Chairman Banking, Capital Markets and Advisory Emea, Citi e membro del board della Scuola Politica "Vivere nella Comunità".
Dott. de Vecchi, lei è uno dei prestigiosi membri del board della Scuola Politica ‘Vivere nella Comunità’ insieme a Sabino Cassese, Marta Cartabia, Gabriele Galateri, France- sco Profumo, Carlo Messina, Paolo Boccardelli e Massimo Lapucci. Cosa significa per lei essere coinvolto in questo importante progetto, vista la grande autorevolezza rag- giunta già dalla prima edizione della Scuola voluta da Pellegrino Capaldo e Marcello Presicci?
Ho risposto subito con entusiasmo alla chiamata della Scuola Politica perché da tempo avverto fortemente l’esigenza di tramandare alle nuove generazioni nozioni, esperienze e competenze accumulate in oltre trent’anni di vita professionale. Nella mia carriera ho vissuto e lavorato nelle principali piazze finanziarie internazionali (New York, Londra, Parigi...) e ho avuto l’opportunità e la fortuna di gestire, con crescenti livelli di responsabilità, strutture globali. Mi sono sempre più appassionato alle interrelazioni tra geopolitica-industria-finanza così come alla risoluzione di problemi complessi. Sono felice di potere mettere a disposizione degli alunni della Scuola il mio bagaglio esperienziale. Sono infatti convinto che aiutare nella formazione di una classe dirigente italiana aperta al mondo sia una responsabilità per la mia generazione. Rifuggo personalmente da impostazioni provinciali e nazionalistiche avendo la certezza che per risolvere le grandi sfide del nostro tempo, pensiamo ad esempio a quella del cambiamento climatico, sia necessario comprendere a fondo tanto le complessità quanto le potenziali opportunità offerte da un approccio alla soluzione dei problemi multidisciplinare e globale.
Siete i primi ad aver creato una Scuola Politica multidisciplinare ed apartitica. Nel vostro programma didattico avete dato molto risalto ai temi finanziari ed economici. Vista la sua formazione, quanto è importante per i giovani conoscere queste tematiche ed in generale quanto per lei è necessario supportare la futura classe dirigente?
Ho sempre pensato a finanza ed economia come strumenti utili per il miglioramento della qualità della vita ma essenziali per dare concretezza al raggiungimento di specifici obiettivi. Qualunque progetto, specialmente i più ambiziosi, necessita di un sano approccio economico finanziario per poter essere sostenibile nel medio lungo termine. In un’epoca caratterizzata dalle start up, siano esse a carattere profit o not for profit, mi appare come imprescindibile assicurare la capacità di tali progetti di garantire un ritorno economico. Auspico che lo stesso approccio possa essere parte integrante della mentalità di una futura classe dirigente politica. Questo anche per assicurarsi il miglior utilizzo possibile delle sempre più scarse risorse disponibili. Mi auguro quindi che attraverso un approccio anche economico finanziario alle questioni macro che riguardano il nostro paese si possano minimizzare in futuro i progetti faraonici senza né capo né coda e le cattedrali nel deserto di cui purtroppo il nostro paese è pieno. Un tale discorso mi appare cruciale alla vigilia dell’arrivo dei fondi europei nel contesto del Recovery Fund.
Parliamo di banche. Il sistema bancario europeo sembra avere un passo nettamente diverso, in peggio, rispetto a quanto le banche americane hanno fatto, anche grazie all’aiuto del governo di Washington, davanti ad una gravissima crisi, come quella del 2008. Una crisi da cui le banche americane sono uscite, rilanciandosi velocemente. Quale potrebbe essere, alla luce di questo scenario, l’appunto da muovere alla politica europea: poco coraggio o troppa attenzione per il consenso?
É purtroppo sacrosanto che se nel 2000 in termini di capitalizzazione borsistica ben quattro banche su dieci a livello mondiale erano europee; mente oggi non ve ne è nessuna nelle prime quindici. Sono tutte americane o cinesi. Le americane effettivamente sono uscite più rapidamente dalla crisi del 2008 e hanno incrementato significativamente la loro quota di mercato a livello mondiale. In Europa la politica e i regolatori hanno mirato a rafforzare patrimonialmente il sistema bancario ma la realtà è che in un’epoca caratterizzata dai bassi tassi d’interesse la redditività nel suo complesso ha enormemente sofferto. Tale redditività si sarebbe forse potuta aumentare favorendo le concentrazioni e diminuendo la concorrenza che in alcuni paesi rimane troppo elevata. L’eccessiva concorrenza non ha infatti portato necessariamente vantaggi a clienti e consumatori. É evidente, ad esempio, che essi beneficerebbero della creazione di banche europee in grado di avere una dimensione e una capacità di azione su scala globale. La politica dovrebbe cavalcare questo tema e contribuire ad un rafforzamento del nostro sistema bancario anche attraverso un consolidamento a livello europeo, come è avvenuto negli US dove le banche, nonostante le aggregazioni, sono più efficienti anche perché spronate dai nuovi operatori Fintech.
La crisi pandemica, per assurdo che possa sembrare, ha dato all’Italia una nuova credibilità in campo internazionale con la chiamata alla guida di Mario Draghi, fra l’altro ex studente del vostro fondatore Pellegrino Capaldo. Cosa si aspetta lei, nel breve periodo, da Mario Draghi e dal suo governo? Sia in generale che dal punto di vista bancario e finanziario?
Possiamo dirci fortunati che proprio nel momento in cui a valle della peggiore crisi vissuta dalla nostra generazione il nostro Paese abbia saputo ritrovare una parvenza di unità politica e si siano potute mettere in campo alcuni tra i nostri migliori cervelli. La mossa più rilevante effettivamente è stata giocare la carta dell’attuale primo ministro che gode di stima incondizionata a livello mondiale. Ciò è avvenuto in un momento storico determinante perché attraverso i fondi del Recovery Plan il nostro paese ha realmente la possibilità di sperimentare un futuro più digitale e sostenibile. Queste sono chiaramente le due direttive principali di crescita e sviluppo per i prossimi anni a livello italiano e globale.
Il Recovery plan, su cui il Paese deve scommettere, punta gran parte della sua riuscita su una fattiva collaborazione tra pubblico e privato che, in passato, troppo spesso è rimasta solo sulla carta. Quali sono stati gli errori che questo modello ha registrato in passato e come evitarli oggi, alla vigilia dell’arrivo dei miliardi di euro dall’Europa?
Sono fermamente convinto che la dualità pubblico-privato tipica del nostro paese debba cessare e che sia essenziale rimettere in discussione tale rapporto. Penso che per i grandi progetti del futuro si debba immaginare che pubblico e privato lavorino in stretta collaborazione. Aggiungerei che tutti i principali futuri progetti europei necessiteranno di visione da parte tanto del potere pubblico quanto dell’imprenditoria privata! Penso ad operazioni di creazione di campioni europei guidate da privati come nel caso di Stellantis e Essilor-Luxottica che non sarebbero potuti esistere senza un settore privato visionario affiancato da politici lungimiranti. Mi auguro che ciò avverrà con ancora maggiore continuità nel prossimo futuro e che assisteremo alla creazione di un numero sempre maggiore di campioni europei a partecipazione mista (pubblica e privata) che potranno competere ad armi pari con americani e cinesi. In tale contesto potrebbe avere senso anche costituire un fondo sovrano europeo per assistere anche finanziariamente alla creazione di tali entità.
Lei ricopre un importantissimo ruolo all’interno di Citi group ed è anche Professore di Finanza e membro dell’advisory board dell’Università LUISS. Nella Scuola Politica “Vivere nella Comunità” sono presenti alcune fra le più importanti realtà italiane come Intesa Sanpaolo, Generali, Fondazione CRT, Ferrovie dello Stato, Poste Italiane, A2A, Iren, Fondazione CDP e Compagnia di San Paolo. Cosa significa rappresentare Citigroup in un consesso così prestigioso?
È un grande onore e una responsabilità. Onore perché essere uno dei pochi soggetti stranieri in questo «parterre de rois» ci permette di comprendere al meglio le esigenze dei nostri clienti e di affinare la nostra strategia per rispondere nel modo migliore alle loro richieste. Responsabilità perché non esistono onori senza oneri! Sarà quindi importante che Citi metta a disposizione della Scuola tutto il proprio bagaglio di esperienze che ha portato alla comprensione e soluzione di progetti complessi. In un mondo, come ho accennato prima, dove le principali questioni da risolvere hanno una natura globale mi auguro che Citi, una banca presente in più di cento paesi, saprà portare soluzioni utili a livello locale riadattando esperienze vissute in altri contesti.