L’Osservatorio Cpi: cambierà qualcosa sui medici a gettone?

- di: Matteo Borrelli
 
L’espressione ‘medici a gettone’ (o ‘gettonisti’) identifica quei medici liberi professionisti che prestano servizio presso gli ospedali e le altre strutture sanitarie pubbliche, ricevendo un compenso per coprire singoli turni. Al contrario dei medici dipendenti (ma lo stesso vale per gli infermieri), i gettonisti lavorano ‘a chiamata’, tipicamente tramite cooperative private che stipulano dei contratti di fornitura con le strutture pubbliche”.
È l’incipit del report dell’Osservatorio conti pubblici italiani (l’Osservatorio Cpi è diretto da Giampaolo Galli, già Direttore Generale di Confindustria, e in precedenza da Carlo Cottarelli), firmato da Carlo Cignarella e Gilberto Turati, sulla questione dei medici a gettone. Un tema che resta, più che caldo, incandescente.
La dura presa di posizione di Bertolaso, assessore al Welfare lombardo: “i gettonisti sono la vergogna della sanità pubblica”

Nelle scorse settimane, afferma il report dell’Osservatorio Cpi, hanno fatto discutere le dichiarazioni di Guido Bertolaso, assessore al Welfare della Lombardia, una delle regioni che ricorre maggiormente alle prestazioni dei gettonisti secondo un recente rapporto dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione (Anac). Bertolaso ha dichiarato che “i gettonisti sono la vergogna della sanità pubblica”, sottolineando il diverso trattamento economico tra loro e i medici dipendenti 
 A dicembre 2023 la Giunta della Regione Lombardia, unica fra le regioni italiane, aveva adottato una delibera che vietava la stipula di nuovi contratti per l’esternalizzazione dei servizi o il rinnovo di quelli in vigore, e stabiliva dei princìpi per la centralizzazione delle procedure di reclutamento del personale. Il Tar aveva però sospeso in via cautelare la delibera regionale a marzo 2024, nella parte che vietava la stipula di nuovi contratti, accogliendo un ricorso presentato da una delle società che offrono questi servizi.
La questione rimane viva – rileva l’Osservatorio Cpi - al punto che il governo ha da poco emanato il decreto per stabilire i prezzi massimi a cui le strutture pubbliche possono aggiudicare questi servizi. L’intervento era atteso da oltre un anno, a completamento di una legge nazionale (l. 26/2023,  che già limita il ricorso ai gettonisti a casi di “necessità e urgenza”, a cui non sia possibile sopperire con il personale in servizio”. Il lavoro dei gettonisti, per quanto necessario per garantire la continuità dei servizi sanitari (per esempio, a fronte dell’assenza temporanea dei lavoratori dipendenti di un ospedale per maternità o malattia), sembra essere inefficiente rispetto a un’assunzione a tempo determinato, perché molto più costoso e spesso qualitativamente peggiore di quello dei medici dipendenti. 
Il report rileva che, in assenza di dati sistematici che consentano una mappatura del fenomeno, secondo diverse ricostruzioni giornalistiche, infatti, il gettone lordo poteva variare tra i 90 e i 100 euro all’ora, un compenso orario almeno doppio di un dipendente con anni di esperienza. Inoltre, per quanto paradossale, non è garantito che la specializzazione del medico a gettone sia compatibile con quella del reparto in cui si trova a operare, vincolo che invece caratterizza il lavoro dipendente”.

Due recenti cambiamenti normativi, che però non cambieranno la situazione, almeno nel breve periodo
Carlo Cignarella e Gilberto Turati analizziamo nel report due recenti cambiamenti normativi. Primo, la definizione dei prezzi massimi a cui appaltare le prestazioni a gettone, passaggio atteso da oltre un anno e importante per correggere in parte gli incentivi altrimenti distorti a sfavore dell’impiego nella sanità pubblica. Secondo, il superamento al tetto di spesa per il personale sanitario imposto alle regioni per vent’anni, che ha contribuito a spingere le regioni alla ricerca di altre soluzioni per la copertura dei fabbisogni: nonostante il limite venga formalmente rimosso dal 2025, è probabile che rimarrà di fatto ancora in vigore, per via di una normativa complicata e in assenza di finanziamenti specificamente dedicati.

Conclusioni guardando al futuro 
Dopo aver analizzato le tappe con cui si è arrivati al fenomeno dei “gettonisti”,  il rapporto dell’Osservatorio Cpi rileva che uno dei “problemi principali è che i gettonisti guadagnano più dei dipendenti delle strutture, creando un incentivo distorto a sfavore dell’impiego nella sanità pubblica. Per correggere almeno in parte questo incentivo, il Ministero della Salute ha stabilito alla fine di ottobre le linee guida con i prezzi di riferimento e gli standard qualitativi richiesti per le prestazioni di medici e infermieri forniti da terzi. I medici gettonisti non possono essere pagati più di 85 euro lordi all’ora nei PS e nei reparti di anestesia/rianimazione, né più di 75 euro per gli altri servizi medici. Il compenso massimo per gli infermieri è di 28 euro lordi all’ora nei pronto soccorso e di 25 euro negli altri reparti”.
Ai gettonisti sarà anche richiesto di sottoscrivere autonomamente un’assicurazione per colpa grave, in modo da esonerare la struttura sanitaria pubblica da eventuali responsabilità per il loro operato, e di osservare un riposo adeguato tra un turno e l’altro, con un massimo di 48 ore settimanali.
Definire un tetto al compenso dei gettonisti è un passo particolarmente importante alla luce della concentrazione dal lato dell’offerta, che potrebbe altrimenti comportare – come è presumibilmente avvenuto finora – una contrattazione al rialzo: secondo l’Anac, appena quattro operatori (di cui tre con sede legale in Lombardia e uno nel Lazio) si sono aggiudicati i tre quarti dell’importo totale dei bandi per la fornitura di personale (medico, infermieristico e generico) in tutte le regioni italiane tra il 2019 e il 2023.
“Inoltre – afferma il report - in mancanza di regolamentazione, l’incentivo economico – già esistente – a lasciare l’impiego nel pubblico per prestare servizio a gettone, magari nelle stesse strutture ma con maggiore flessibilità e un compenso più elevato, potrebbe diventare ancora più forte, aggravando ulteriormente la carenza di organico del personale sanitario”.
Una seconda questione è legata alla possibilità per le regioni di assumere nuovo personale per rispondere alle esigenze di copertura dei turni
Come accennato, il decreto Liste di attesa del ministro Schillaci ha formalmente rimosso il tetto alla spesa per il personale sanitario imposto a livello regionale a partire dal 2025, una delle misure che dovrebbe permettere di colmare le carenze di organico tramite nuove assunzioni e accorciare, così, le liste di attesa.
Tuttavia – osserva l’indagine - il superamento del tetto di spesa è subordinato alla definizione del fabbisogno triennale di personale sanitario da parte di ogni regione. Tale fabbisogno va calcolato sulla base di un non meglio precisato metodo, che andrà elaborato e approvato con un provvedimento successivo. Fino a quel momento, rimarranno valide le disposizioni del decreto Calabria citate in precedenza. Di conseguenza, è probabile che il vincolo rimarrà in vigore, di fatto, ben oltre l’inizio del 2025. Va da sé che l’eventuale aumento di spesa per il personale dovrà rispettare il vincolo di bilancio regionale e seguirà quindi la dinamica dei finanziamenti”.
Il report conclude affermando che, “anche ipotizzando una rimozione immediata del tetto, restano irrisolti diversi problemi strutturali che alimentano la carenza di offerta di specifiche professionalità. Tra questi, c’è il mismatch tra il numero di borse di specializzazione bandite e il numero di iscritti alla prova, soprattutto per alcune specialità come medicina d’urgenza e anestesia e rianimazione. A ciò si aggiungono sia l’elevato numero di pensionamenti previsto a breve (in Italia, un medico su quattro ha oggi più di 65 anni), nonostante la sospensione dell’obbligo di pensionamento a 70 anni, sia le basse retribuzioni soprattutto per gli infermieri, che rendono la professione poco attrattiva”.
(Nella foto il ministro della Sanità, Orazio Schillaci)


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