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Sanità, treni pieni e corsie sature: la mobilità al capolinea

- di: Bruno Coletta
 
Sanità, treni pieni e corsie sature: la mobilità al capolinea
Sanità, treni pieni e corsie sature: la mobilità al capolinea
Nord sotto assedio, Sud in uscita: senza un patto nazionale saltano bilanci, personale e diritti. Ecco perché la mobilità sanitaria cresce, chi ci guadagna, chi perde e cosa serve per fermare l’emorragia.

La cartina della sanità italiana racconta una storia di pazienti in viaggio: reparti d’eccellenza presi d’assalto nelle regioni più attrattive e ospedali periferici che faticano a trattenere i propri assistiti. Il fenomeno della mobilità interregionale non è più una valvola fisiologica ma un moltiplicatore di diseguaglianze: sposta miliardi, svuota i reparti dove la domanda nasce e satura quelli dove l’offerta è migliore.

Perché l’onda è cresciuta

Non c’è una sola causa ma un intreccio: liste d’attesa troppo lunghe in molte aree, carenza strutturale di personale (in particolare infermieri e tecnici), investimenti concentrati su pochi poli, capacità organizzativa diseguale. La conseguenza è una domanda crescente anche per prestazioni a bassa complessità, non solo per quelle altamente specialistiche. Quando anche un’ecografia o una protesi richiedono mesi, il paziente prende il treno.

I numeri che pesano sui bilanci

Negli ultimi esercizi la mobilità ha generato centinaia di migliaia di ricoveri extra-regione e flussi finanziari nell’ordine di miliardi di euro, con trasferimenti netti dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord. Le regioni più attrattive restano Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, che raccolgono pazienti per oncologia, ortopedia (protesi) e interventi complessi. Il rovescio della medaglia: le regioni a saldo negativo vedono risorse uscire e una progressiva perdita di fiducia nel sistema locale.

Le voci dal campo

“La mobilità sanitaria interregionale è in forte aumento e sta mettendo sotto pressione il sistema. Serve un grande patto nazionale”Michele de Pascale, presidente della Regione Emilia-Romagna.

“Da noi la pressione è ancora più problematica: se non si modifica il modello, i soldi saranno sempre insufficienti”Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia.

La linea del governo chiama in causa uguaglianza e efficienza. “Quando un cittadino sale su un treno per farsi operare a centinaia di chilometri non è mobilità sanitaria: è la sconfitta di un’intera nazione”Orazio Schillaci, ministro della Salute.

Che cosa serve davvero

Un patto nazionale deve tenere insieme tre leve: capitale umano, organizzazione, programmazione. Non basta spostare budget: occorre stabilizzare e attrarre infermieri e professionisti con percorsi rapidi, indennità dedicate ai reparti ad alta pressione, e un piano di produttività che premi chi riduce le liste d’attesa senza abbassare la qualità.

Seconda leva: presa in carico territoriale. Le case di comunità e i presidi di prossimità hanno senso se funzionano come “centrali operative” — agenda unica, presa in carico proattiva dei cronici, diagnostica di base che evita il ricovero improprio, telemedicina che riduce gli spostamenti. Terza leva: una rete clinica interregionale per le patologie complesse con hub & spoke chiari, volumi minimi e trasparenza degli esiti.

Dove intervenire subito

  • Liste d’attesa: agende integrate pubblico-privato accreditato, orari estesi, monitoraggio settimanale, obbligo di reindirizzo entro tempi massimi con tariffa invariata.
  • Personale: reclutamento straordinario di infermieri, revisione dei tetti di spesa e incentivi su turni disagiati e reparti ad alta attrazione.
  • Dati e trasparenza: cruscotto nazionale sugli esiti e sui tempi, con indicatori comparabili e pubblici per orientare i pazienti vicino a casa quando possibile.
  • Acquisti e tecnologie: piattaforme di diagnostica condivise, teleconsulto interregionale obbligatorio per seconde opinioni e follow-up post-intervento.

Effetti collaterali da non ignorare

Ogni paziente in viaggio comporta costi indiretti — trasporti, ferie dei caregiver, affitti brevi — che lo Stato non misura a sufficienza. Nel frattempo, gli ospedali attrattivi rischiano il congestionamento: sale operatorie sature, turni straordinari, rimbalzo sulle urgenze. È il paradosso: il successo di pochi può trasformarsi in collo di bottiglia per tutti.

Il punto politico

La mobilità non è un incidente, è un meccanismo di sistema. Se diventa l’unico modo per accedere in tempi ragionevoli a prestazioni comuni, allora mina il principio cardine del SSN: uguali diritti per cittadini diversi. Non esiste soluzione senza una regia nazionale che ricomponga competenze e risorse, indirizzi gli investimenti e premi chi riduce davvero gli spostamenti inutili.

In sintesi: servono più professionisti dove mancano, regole uguali sui tempi, una rete clinica che eviti viaggi non necessari e trasparenza radicale su esiti e qualità. Solo così il treno della mobilità tornerà a essere l’eccezione, non la regola.

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