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Mal di testa, il pianeta nel pallone: tre miliardi di malati

- di: Marta Giannoni
 
Mal di testa, il pianeta nel pallone: tre miliardi di malati
Mal di testa, il pianeta nel pallone: tre miliardi di malati
Emicrania, cefalea tensiva e abuso di farmaci: così il mal di testa è diventato una delle principali cause di disabilità globale, con le donne colpite il doppio degli uomini.

Un mal di testa su tre esseri umani

Un essere umano su tre convive con il mal di testa. Nel 2023, le persone che hanno sofferto di una forma di cefalea sono state quasi tre miliardi: un’enormità che trasforma quello che molti considerano un disturbo “banale” in una vera emergenza di salute pubblica globale.

Gli esperti hanno misurato il peso delle cefalee in termini di anni vissuti con disabilità, cioè il tempo in cui la vita delle persone è limitata dal dolore e dai sintomi. Il risultato è un numero impressionante: circa 542 anni di vita con disabilità ogni 100.000 abitanti. Tradotto: il mal di testa è ormai una delle prime cause di disabilità nel mondo, al livello delle grandi malattie croniche che riempiono ospedali e bilanci sanitari.

A trainare questo carico non è “il mal di testa” generico, ma tre protagonisti ben precisi: emicrania, cefalea tensiva e cefalea da abuso di farmaci. Tre facce diverse di un dolore che colpisce mente, corpo, lavoro, famiglia e futuro.

Donne doppiamente colpite

C’è un dato che salta agli occhi: la cefalea è fortemente sbilanciata per genere. Le analisi epidemiologiche più recenti mostrano che le donne pagano più del doppio del prezzo in termini di anni vissuti con disabilità rispetto agli uomini.

Non è un dettaglio statistico, ma il riflesso di un mix potente di ormonali, sociali e culturali. L’emicrania, in particolare, esplode nelle età di maggiore produttività – tra i 20 e i 50 anni – proprio quando molte donne si dividono tra lavoro, carico familiare e spesso un accesso più difficile a percorsi specialistici.

“I numeri ci dicono che nell’arco di trent’anni il peso delle cefalee è rimasto sostanzialmente stabile, ma le donne continuano a sopportare una quota nettamente maggiore di disabilità”, osserva la neurologa Yvonne Xu, tra le autrici della grande analisi internazionale. “Se non affrontiamo in modo esplicito questa disparità, continueremo a lasciare milioni di persone in una condizione di sofferenza evitabile”.

Emicrania, la meno frequente ma la più devastante

Uno dei paradossi più clamorosi è questo: la cefalea tensiva è quasi due volte più diffusa dell’emicrania, ma è proprio l’emicrania a generare la stragrande maggioranza della disabilità.

Nel 2023, l’emicrania da sola ha causato circa 40,9 milioni di anni vissuti in cattiva salute in tutto il mondo, con un tasso di quasi 488 anni di disabilità ogni 100.000 abitanti. La cefalea tensiva, pur colpendo più persone, porta a un carico molto minore: poco più di 54 anni in cattiva salute ogni 100.000 abitanti. Il messaggio è netto: non contano solo le diagnosi, ma l’intensità e la durata dell’impatto sulla vita quotidiana.

L’emicrania non è “un semplice mal di testa forte”. È un attacco che può durare da ore a giorni, spesso accompagnato da nausea, vomito, ipersensibilità alla luce e ai rumori, impossibilità di concentrarsi. Molti pazienti raccontano di doversi chiudere in una stanza buia, disconnessi dal mondo, in attesa che la tempesta si esaurisca.

Non sorprende, allora, che l’emicrania sia oggi considerata una delle principali cause di disabilità tra i 15 e i 50 anni, cioè nel pieno dell’età lavorativa. Il costo in termini di assenze, perdita di produttività e rinunce personali è enorme, ma ancora largamente sottovalutato.

Quando la cura peggiora il male: la cefalea da abuso di farmaci

C’è poi un capitolo più scomodo, ma decisivo: la cefalea da abuso di farmaci. È il mal di testa che nasce proprio dall’uso eccessivo dei medicinali che dovrebbero curarlo, in particolare analgesici e farmaci sintomatici contro emicrania e cefalea tensiva.

In termini di numeri assoluti colpisce una minoranza di persone, ma il suo impatto è enorme: più di un quinto di tutta la disabilità legata alle cefalee è attribuibile a questo fenomeno. In molti casi si tratta di pazienti che, per tenere sotto controllo un’emicrania o una cefalea tensiva, arrivano a prendere farmaci molti giorni al mese, innescando un circolo vizioso per cui la cura finisce per alimentare il problema.

Secondo le revisioni più recenti, la cosiddetta medication-overuse headache riguarda circa l’1–2% della popolazione generale, ma può arrivare a interessare fino a la metà dei pazienti seguiti nei centri specializzati per cefalee croniche. È una condizione prevenibile, che nasce spesso da automedicazione non controllata e da una comunicazione insufficiente su rischi e limiti degli antidolorifici.

“Quando una persona assume analgesici per il mal di testa per più della metà dei giorni in un mese, il farmaco smette di essere alleato e diventa parte del problema”, spiega un neurologo che da anni lavora in ambulatori dedicati alle cefalee croniche. “La buona notizia è che, con programmi di disintossicazione farmacologica e terapie preventive mirate, la disabilità può ridursi in modo drastico”.

Trent’anni di numeri: un peso che non cala

I dati a disposizione coprono ormai oltre tre decenni. E raccontano una storia chiara: il peso complessivo delle cefalee nel mondo è rimasto sostanzialmente stabile. La prevalenza non crolla, la disabilità non arretra.

In Europa, per esempio, le analisi sui periodi 1990–2021 mostrano che il numero di casi di cefalea è aumentato in termini assoluti, complice la crescita e l’invecchiamento della popolazione, ma i tassi standardizzati di prevalenza e disabilità sono quasi identici a quelli di trent’anni fa. L’emicrania è leggermente aumentata, la cefalea tensiva è calata di poco, ma il quadro generale è quello di un gigante immobile.

Questo significa che diagnosi, prevenzione e trattamento non hanno ancora prodotto il salto di qualità necessario. Malgrado nuovi farmaci, linee guida e campagne di sensibilizzazione, troppi pazienti restano non diagnosticati o si curano solo con analgesici al bisogno, senza mai arrivare a una presa in carico strutturata.

Il lato nascosto: lavoro, scuola, relazioni

Dietro le statistiche c’è una quotidianità fatta di giornate lavorative saltate, turni cambiati all’ultimo, riunioni affrontate stringendo i denti. Molti pazienti con cefalea, soprattutto con emicrania, continuano a presentarsi al lavoro anche durante l’attacco: producono meno, si sentono in colpa, spesso non dichiarano il problema per paura di essere giudicati fragili o “lamentosi”.

Lo stesso vale per la scuola: bambini e adolescenti con cefalea ricorrente perdono ore di lezione, faticano a seguire, rinunciano a sport, socialità, attività extrascolastiche. Il rischio è quello di una catena di rinunce che si allunga nel tempo, fino a influenzare scelte di studio, lavoro, persino la vita familiare.

A questo si aggiunge il peso psicologico: ansia e depressione sono molto più frequenti in chi soffre di emicrania cronica. Non è solo il dolore in sé, ma la paura costante del prossimo attacco a logorare. Molti pazienti descrivono una sorta di “spada di Damocle” sempre sospesa sulla giornata: la sensazione che ogni programma possa saltare da un momento all’altro.

Perché il mal di testa resta sottovalutato

Nonostante questi numeri, le cefalee continuano a essere viste, in larga parte, come un disturbo minore. Pesano diversi fattori: il fatto che raramente portino alla morte, l’idea diffusa che “capita a tutti”, la facilità con cui si può comprare un analgesico in farmacia e tirare avanti.

Ma è proprio questa apparente banalità a trasformare il mal di testa in un nemico silenzioso. Se un disturbo così frequente non viene riconosciuto e trattato in modo strutturato, diventa un macigno economico per sistemi sanitari e aziende: meno ore lavorate, più errori, più visite d’urgenza, più farmaci usati in modo non ottimale.

L’OMS sottolinea che, a livello globale, solo una minoranza delle persone con cefalea riceve una diagnosi e una terapia adeguata. In molti Paesi mancano ambulatori dedicati, specialisti formati e percorsi di presa in carico integrata. E dove i servizi ci sono, spesso il problema è l’accesso: liste d’attesa lunghe, costi elevati, poca informazione.

Cosa si può fare subito

Il quadro non è irrimediabile. Anzi, gli esperti insistono su un punto: molta della disabilità legata alle cefalee è evitabile. A patto di agire su più livelli.

Primo: diagnosi precoce e corretta. Distinguere tra emicrania, cefalea tensiva e altre forme è essenziale per scegliere la terapia giusta. Un semplice diario degli attacchi – quando compaiono, quanto durano, che farmaci vengono assunti – è spesso il primo passo per inquadrare il problema.

Secondo: uso consapevole dei farmaci. Gli analgesici non vanno demonizzati: usati correttamente restano un pilastro della cura. Ma servono regole chiare su frequenza e dosi, per evitare di scivolare nell’abuso. Qui la comunicazione tra medico, farmacista e paziente è decisiva.

Terzo: terapie preventive e approcci non farmacologici. Per chi soffre di attacchi ricorrenti esistono farmaci specifici per ridurre frequenza e intensità delle crisi, così come trattamenti non farmacologici: tecniche di rilassamento, gestione dello stress, igiene del sonno, attività fisica regolare. Interventi che costano poco, ma che richiedono tempo e continuità.

Quarto: politiche di salute pubblica mirate. Integrare la gestione delle cefalee nei servizi di medicina generale e nei programmi di salute sul lavoro, formare i medici di base a riconoscere le forme più gravi, inserire il mal di testa tra le priorità dei piani nazionali sulle malattie croniche: sono tutti passi concreti che possono ridurre in modo significativo il peso del problema.

Un gigantesco mal di testa per la politica sanitaria

I numeri sono inequivocabili: le cefalee non sono un fastidio marginale, ma uno dei grandi capitoli della salute del XXI secolo. Ignorarle significa rassegnarsi a perdere, ogni anno, milioni di giornate di lavoro e di scuola, e a lasciare che tre miliardi di persone convivano con un dolore che potrebbe essere spesso prevenuto o almeno ridotto.

“Le cefalee sono tra le condizioni neurologiche più diffuse e disabilitanti, ma continuano a ricevere una quota di attenzione sproporzionata rispetto al loro impatto”, sintetizza un altro degli autori dello studio internazionale. “Abbiamo gli strumenti per fare meglio: ora serve la volontà politica di considerarli una priorità reale”.

Il messaggio finale è semplice e perentorio: il mal di testa non è un destino né un dettaglio. È un problema strutturale che riguarda salute, economia, equità di genere e futuro dei sistemi sanitari. Continuare a liquidarlo con un analgesico al volo è, oggi, il vero mal di testa.

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