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La salute del futuro si costruisce con gli under 30

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
La salute del futuro si costruisce con gli under 30
Se la sanità italiana vuole prepararsi al futuro, deve cambiare il modo in cui guarda alle nuove generazioni. Non come pubblico a cui “spiegare” la salute, ma come parte che contribuisce a definirne linguaggi, strumenti e priorità. È il messaggio lanciato da Chiara Gnocchi, Communication & Advocacy Head di Novartis Italia e coordinatrice del gruppo Scienze della Vita di Ferpi, intervenuta al Health Journalism Festival 2025, in corso a Roma.
«Se vogliamo parlare del futuro della salute – ha detto – dobbiamo farlo con chi quel futuro lo abiterà: gli under 30».

La salute del futuro si costruisce con gli under 30

Per Gnocchi il punto non è aggiustare la comunicazione, ma cambiare paradigma. «Occorre passare dal racconto al dialogo: per costruire fiducia bisogna aggiungere all’informazione l’ascolto». La differenza non è semantica ma strutturale: finché le istituzioni e le imprese sanitarie restano su un piano unidirezionale, i giovani rimangono spettatori. Solo se diventano interlocutori effettivi possono riconoscersi nel sistema.

Dove parlano i giovani (e perché non è dove parla la sanità)

Uno dei nodi, ha spiegato Gnocchi, è la distanza tra i tavoli istituzionali e gli spazi in cui gli under 30 già elaborano opinioni sulla salute. «Non si tratta di convincerli a partecipare ai nostri contesti: siamo noi che dobbiamo raggiungere i loro. Bisogna sedersi nei luoghi dove discutono, non aspettare che varchino il perimetro istituzionale». Ciò implica una ridefinizione della mappa della comunicazione: dai convegni alle piattaforme, dalle conferenze alla conversazione.

Ascolto come infrastruttura, non gesto formale
Il modello proposto da Gnocchi introduce un ribaltamento di prospettiva: l’ascolto non è più un momento preliminare ma l’architettura di fondo su cui costruire politiche di salute. Senza ascolto – tecnico, valoriale e linguistico – il sistema non produce fiducia e le campagne di prevenzione o innovazione terapeutica restano parziali. «La fiducia – ha ricordato – nasce solo dove le persone si sentono parte del processo».

Giovani come co-progettisti, non destinatari
La presenza degli under 30 non è richiesta come “testimone” a valle, ma come componente iniziale di co-creazione. In altre parole, il loro coinvolgimento non deve avvenire quando il messaggio è già stato scritto, ma nel momento stesso in cui si definisce il contenuto della comunicazione sanitaria. Questo è il passaggio che distingue semplice informazione da partecipazione reale.

Perché il tema riguarda anche l’ecosistema salute, non solo la comunicazione
Il ragionamento tocca direttamente anche la costruzione delle politiche sanitarie: prevenzione, corretta informazione scientifica, cultura del farmaco e nuove tecnologie terapeutiche vanno progettate sapendo che chi ne usufruirà più a lungo sono proprio i giovani. Per questo, spiegano da Novartis, coinvolgerli significa rendere il sistema più resiliente e più comprensibile fin dall’origine.

Accessibilità non è semplificazione ma riconoscimento
Il punto non è “parlare facile”, ma riconoscere che il luogo dove si genera la legittimazione è cambiato. La complessità resta, ma cambia il modo di farla transitare: non più su piattaforme esclusivamente istituzionali, ma in ambienti informativi dove i giovani si sentono autorizzati a interagire. È in quella partecipazione che il sistema sanitario può ritrovare credibilità presso una fascia d’età spesso definita “distante”, ma che in realtà discute di salute quotidianamente – solo non negli spazi tradizionali.

Il messaggio finale: la salute del futuro non è un destinatario

La cornice culturale che emerge dal Festival è chiara: la salute del futuro non si comunica ai giovani, si costruisce insieme ai giovani. Solo riconoscendoli come parte della governance comunicativa e non come pubblico passivo, il sistema sanitario può produrre fiducia di lungo periodo. In questa prospettiva, conclude Gnocchi, «non è il giovane che deve adattarsi al linguaggio della sanità, è la sanità che deve imparare dove quel linguaggio viene generato».
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