Russia: è già cominciato l'effetto domino nei palazzi del potere?

- di: Redazione
 
Se il pericolo di un imminente confronto armato sembra essere rientrato e l'alone di mistero avvolge la sorte di Evgenij Prigozhin, il futuro politico della Russia, e con essa anche quello di Vladimir Putin, resta sovrastato da un enorme punto di domanda, che l'apparente calma, dopo le prime avvisaglie di tempesta, non riesce certo a cancellare.
L'iniziativa del capo del gruppo Wagner, anche se rientrata nel giro di poche ore, aumentando i dubbi su quali siano state le sue reali motivazioni, ha mostrato una debolezza del sistema politico russo di cui si potevano intuire i contorni, ma per difetto.

Russia: è già cominciato l'effetto domino nei palazzi del potere?

Molte le circostanze che inducono a riflessione, a cominciare dal fatto che le intenzioni di Prigozhin erano note da giorni (alle rivelazioni del Washington Post sono seguite conferme anche dal Dipartimento di Stato americano) e niente è stato fatto per impedirle o, comunque, cercare di ostacolarle.
La ''cavalcata'' per centinaia di chilometri delle colonne di Wagner senza che le ''potenti'' forze armate russe facessero qualcosa per opporsi ad esse non può solo significare che i muscoli di Mosca erano esibiti e non reali, ma che probabilmente la ribellione di Prigozhin è stata condivisa da parte dell'apparato militare russo.

Il capo di Wagner - di cui ufficialmente si sono perse le tracce dopo l'annuncio, fatto dal dittatore di casa a Minsk, Aleksandr Lukashenko, che Prigozhin si sarebbe trasferito in Bielorussia -, al di fuori di poche persone, non aveva molti referenti in seno alla nomenklatura moscovita, contro cui ha sempre lanciato accuse, soprattutto ai vertici della macchina militare. Resta, quindi, sorprendente come i miliziani di Wagner abbiano potuto controllare, senza alcuna resistenza da parte dei militari russi, il nodo strategico di Rostov, cruciale per la guerra in Ucraina. Troppo facile la conquista per non pensare che l'arrivo di Wagner sia stato visto come una spallata a quei vertici militari e del ministero della Difesa cui viene addebitato l'esito incerto della ''operazione speciale'', costata perdite elevatissime, e non solo umane.

Ora, quindi, Vladimir Putin deve fare i conti con una nuova situazione, in cui le crepe del suo sistema di potere sono venute clamorosamente fuori, lasciandolo molto esposto. Perché la guerra sta logorando l'economia russa, che certo non era attrezzata a un conflitto tanto lungo e, soprattutto, a sanzioni internazionali che si pensava potessero essere solo minacciate e non invece attuate.
Se la crisi su campo sembra essere rientrata, le sue ripercussioni politiche sono ancora tutte da decifrare perché, se la figura di Putin come condottiero è uscita fortemente ridimensionata, questo processo riguarda anche la piattaforma di potere di cui è stato ed è ancora espressione. Cambiamenti in tempi rapidi non dovrebbero esserci, ma appare chiaro che a essere messo in discussione è il ''sistema'' che non può permettersi che il suo uomo più rappresentativo sia uscito quasi umiliato dall'azione di poche decine di migliaia di uomini, addestrati sin che si vuole, ma numericamente poca cosa rispetto alla potenziale risposta dell'esercito russo.

Poco a questo punto significa, se non dal punto di vista della comunicazione, che oggi il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, abbia visitato le truppe russe in Ucraina, dopo i violentissimi insulti che a lui ha riservato Prigozhin, accusandolo degli errori tattici e strategici della campagna. L'impressione è che l'apparato del Cremlino stia cercando di ricompattarsi, dopo il devastante impatto della rivolta di Wagner. Ma potrebbe essere un processo lungo, mentre il rublo oggi è arretrato di oltre il 2% rispetto al dollaro, crollando ai minimi degli ultimi quindici mesi.
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