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Riforma Corte dei Conti, ora è legge: tensioni fortissime

- di: Vittorio Massi
 
Riforma Corte dei Conti, ora è legge: tensioni fortissime
Riforma Corte dei Conti, ora è legge: scudo, tetti e tensioni
Tra “paura della firma” e allarmi sui controlli: cosa cambia davvero (e perché il Paese si divide) .

(Foto: il presidente della Corte dei conti, Guido Carlino).

È diventata legge una delle riforme più discusse (e più “sensibili”) degli ultimi mesi: quella che ridisegna il perimetro della responsabilità per danno erariale e ritocca poteri e tempi della Corte dei Conti. La maggioranza la presenta come una cura contro l’amministrazione “paralizzata” dalla paura di firmare; una parte delle opposizioni, la magistratura contabile e associazioni civiche la leggono invece come un ridimensionamento del controllo su come vengono spesi i soldi pubblici. 
Il voto e il messaggio politico: “basta paura della firma”.
Il Senato ha decretato l’approvazione definitiva del disegno di legge nato su iniziativa di Fratelli d’Italia. Per il governo e la maggioranza, la parola d’ordine è una: togliere la “zavorra” che frenerebbe funzionari e amministratori, soprattutto quando c’è da correre su cantieri, procedure e scadenze legate al Pnrr.
Il ministro Tommaso Foti, che da capogruppo alla Camera aveva presentato la proposta, ha insistito sull’idea di una svolta “operativa”: "È una svolta politica chiara e coraggiosa, con l'obiettivo di favorire l'assunzione di provvedimenti legittimi in tempi rapidi nella pubblica amministrazione".
Il lessico scelto dai promotori è volutamente “da corsia rapida”: anni fa, nella relazione politica, la patologia veniva battezzata persino con un soprannome, “firmite”. L’idea: se chi decide teme di essere trascinato davanti ai giudici contabili per errori valutati ex post, finisce per non decidere affatto. Cosa cambia, in concreto: tre leve che spostano l’equilibrio.

Cosa Cambia 

1) “Scudo” permanente e colpa grave “tipizzata”

Dal 2020, in piena stagione Covid, era stato introdotto uno scudo erariale che, per condotte commissive, restringeva la responsabilità sostanzialmente ai casi di dolo. Quel regime temporaneo è stato più volte prorogato e avrebbe comunque avuto una scadenza. Ora la riforma lo rende strutturale, ma aggiunge un tassello chiave: la definizione più puntuale della colpa grave (la cosiddetta “tipizzazione”).

Qui si annida un nodo tecnico che è anche politico: la Corte costituzionale, con la sentenza n. 132 del 2024, aveva sì ritenuto non irragionevole uno scudo temporaneo, ma aveva anche spinto il legislatore a chiarire meglio quando la colpa grave possa far scattare il conto. La riforma risponde con una lista ristretta di ipotesi: tra queste, la violazione manifesta di norme, il travisamento del fatto, o l’affermazione/negazione di circostanze che risultino incontrovertibilmente vere o false.

2) Il tetto al risarcimento: 30% (e un secondo limite collegato allo stipendio)

Seconda leva: quando non ci sono dolo o arricchimento illecito, la condanna al risarcimento viene ridotta. Il cuore della misura è il famoso tetto: massimo 30% del danno accertato. A questo si somma un ulteriore limite, agganciato alla retribuzione (in varie ricostruzioni: fino a due annualità lorde).

La maggioranza sostiene che un tetto “realistico” sia anche un tetto più esigibile: meglio recuperare somme pagabili davvero, piuttosto che pronunciare condanne teoriche destinate a restare sulla carta. Il sottosegretario Alfredo Mantovano ha difeso proprio questo punto, presentandolo come un deterrente che resta tale, ma senza trasformare ogni errore grave in una condanna economicamente “impossibile”.

3) Pareri preventivi e silenzio-assenso: la Corte con il cronometro in mano

Terza leva, la più controversa: cresce la funzione “consultiva” e prende forma un meccanismo che, per molti critici, somiglia a un ombrello automatico.

In sostanza, le amministrazioni possono chiedere alla Corte un parere preventivo di legittimità. La Corte ha 30 giorni (con possibilità di estensione fino a 90) per rispondere. Se non risponde, scatta il silenzio-assenso: l’atto diventa valido e si esclude la responsabilità per danno erariale collegata a quell’atto.

Per le opposizioni, è qui che la riforma cambia davvero il clima: non solo perché “accelera”, ma perché accelera anche quando mancano risorse e organici per garantire risposte in tempi stretti. Il senatore M5S Roberto Cataldi ha bollato l’impianto come uno scudo perfetto per i “colletti bianchi”: "Geniale", ma nel senso peggiore, perché senza potenziamenti la macchina rischia di andare in affanno e il silenzio finisce per diventare una scorciatoia.

Il fronte dei contrari: “pagina buia” e rischio di deresponsabilizzazione

La reazione più dura arriva dalla stessa magistratura contabile. L’Associazione dei magistrati della Corte dei Conti ha parlato senza mezzi termini di arretramento nella tutela dei bilanci pubblici: "Oggi si scrive una pagina buia per tutti i cittadini", sostenendo che il principio di responsabilità nella gestione del denaro dei contribuenti venga sensibilmente indebolito.

Il timore, tradotto in linguaggio semplice, è questo: se chi sbaglia gravemente paga solo una quota limitata del danno, la differenza rischia di ricadere sulla collettività. E se il controllo preventivo si trasforma in un “via libera per scadenza”, la qualità del controllo si misura più sul calendario che sul merito.

Sulla stessa linea si è collocata Libera, che ha definito la riforma come un intervento in grado di depotenziare drasticamente le funzioni di controllo. Nel comunicato pubblicato dopo l’approvazione, l’associazione lega il clima dello scontro anche a grandi dossier infrastrutturali recenti, evocando l’idea che la riforma venga percepita come una risposta “muscolare” al ruolo di supervisione esercitato dalla Corte in questi mesi.

La replica del governo: “nessuna vendetta” e “non tutti i giudici sono contrari”

Il governo respinge l’accusa più velenosa: quella di una riforma “punitiva” verso la Corte. Mantovano ha liquidato l’ipotesi come una forzatura, ricordando che l’iter legislativo dura da circa due anni e che collegarlo a episodi specifici dell’ultimo periodo sarebbe strumentale. E aggiunge un elemento politico: "Non c'è unanimità di dissensi tra i giudici contabili", sostenendo che nel confronto parlamentare ci sarebbero state interlocuzioni e correzioni rispetto alla versione originaria.

Il punto cieco: la delega al governo e la partita dei decreti

C’è un altro dettaglio che rende questa riforma “viva”, non conclusa: una parte importante del riassetto passa attraverso una delega al governo per la riorganizzazione e il riordino delle funzioni della Corte dei Conti. In pratica, la legge definisce alcuni perni (responsabilità, tetti, pareri) e apre una seconda fase: i decreti attuativi, dove spesso si decide come una norma “suona” nella vita quotidiana delle amministrazioni.

È qui che molti osservatori collocano il vero rischio (o la vera opportunità, a seconda dei punti di vista): se i decreti rafforzeranno organici, procedure e tempi, la promessa di efficienza potrebbe reggere; se invece i tempi resteranno stretti senza risorse adeguate, il silenzio-assenso rischia di diventare il protagonista involontario del nuovo sistema.

Perché la riforma spacca: due idee opposte di “buona amministrazione”

Dietro la contesa c’è un conflitto di filosofia pubblica. Da una parte: meno paura, più decisioni. Dall’altra: meno responsabilità, più zone grigie. E in mezzo, la realtà fatta di appalti, atti, controlli e tempi europei.

Il paradosso è che entrambi i campi dicono di voler proteggere l’interesse pubblico: la maggioranza punta sulla velocità come antidoto agli sprechi “da ritardo”, mentre i contrari temono che la velocità senza contrappesi apra varchi agli sprechi “da impunità”.

Cosa succede adesso

Dopo l’approvazione definitiva, il provvedimento dovrà completare il suo percorso formale (pubblicazione) e poi inizierà la fase attuativa. Nel frattempo, la battaglia si sposta su tre fronti:

1) Decreti delegati: come verrà organizzata la Corte e con quali risorse.
2) Tempi e organici: se i 30 giorni diventeranno un incentivo al controllo o un invito al silenzio.
3) Effetto reale sulla “paura della firma”: se il sistema sbloccherà davvero gli atti o se produrrà nuovi contenziosi su cosa sia (o non sia) colpa grave.

Per ora, una certezza c’è: la Corte dei Conti entra nel 2026 con regole nuove e un termometro politico altissimo. E quando la temperatura sale così, ogni comma smette di essere solo tecnica: diventa racconto del potere, dei suoi limiti e di chi li misura.

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