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Su Quirinale e semipresidenzialismo torna a infuocarsi la politica

- di: Redazione
 
Su Quirinale e semipresidenzialismo torna a infuocarsi la politica
Le parole del leghista Giancarlo Giorgetti, che, auspicando un trasloco di Mario Draghi da palazzo Chigi al Quirinale, da dove potrebbe continuare comunque a guidare il Paese, fotografano l'enorme confusione che regna nella politica italiana. Ma, a differenza di circostanze simili che si sono registrate in passato, oggi qualsiasi ipotesi che viene fatta - e da qualsiasi posizione essa provenga - ruota inevitabilmente sul nome dell'attuale presidente del Consiglio che, per paradossale che possa apparire, rischia una eccessiva sovraesposizione che, alla fine, gli nuocerebbe, sia come premier in carica, che come eventuale futuro presidente della Repubblica. Lui, sul punto, non si esprime e aspetta.

Il dibattito sul futuro di Draghi, fra Quirinale e semipresidenzialismo, infuoca la politica italiana

Il turbinare di dichiarazioni che ne incensano l'impegno e i risultati (sia in Italia che sui palcoscenici internazionali) alla fine sembrano essere una liturgia cui tutti si sottopongono, nella speranza che Draghi prenda la decisione migliore, per il Paese e non necessariamente anche per sé stesso.
Uno scenario di semipresidenzialismo reale, quello disegnato da Giorgetti, potrebbe essere una ipotesi da percorrere, visto che il mandato del presidente del consiglio - chi esso sia - ha profondi ed evidenti vincoli che risiedono nella necessità, ravvisata dai costituenti, di equilibrare i poteri della politica, ''spacchettandone'' la forza tra soggetti (parlamento, primo ministro, presidente della repubblica) che potessero essere l'uno controllore degli altri.

Uno schema che ha sempre funzionato, ma che oggi per qualcuno mostra i segni del passare del tempo perché, ultimo esempio, la massima carica dello Stato riflette equilibri della politica e non la volontà degli italiani.
Solo così si riesce a comprendere la campagna, partita da settimane, che vorrebbe un candidato di bandiera nel centrodestra nella persona di Silvio Berlusconi. Ora, al di là del fatto dell'età dell'ex cavaliere (che è quella che è e che i suoi detrattori sottolineano sempre, con toni anche grevi), la sua candidatura appare più che altro un modo per ricompattare il centrodestra, anche se i margini di riuscita della ''operazione Quirinale'' che lo veda vincente appaiono esigui perché condizionata da troppe varianti.

Lui, Berlusconi, sembra agitarsi molto, perché l'ideuzza di chiudere la sua avventura politica al Colle lo stuzzica da sempre, senza nemmeno essere condizionata dalle sue innumerevoli vicende giudiziarie. Ma piombata oggi, in questo momento storico, la sua candidatura appare come uno spauracchio agitato da Salvini e Meloni.
Quasi a volere dire: ecco, siamo forti e, se vogliamo, vi possiamo fare ritrovare Berlusconi al Quirinale. E ricordando che il presidente della Repubblica lo è anche del Csm, vengono i brividi a pensare che al Colle potrebbe ritrovarsi qualcuno che combatte una battaglia ultraventennale contro la magistratura che lui ritiene di parte.

In tutto questo bailamme, dove parole e dichiarazioni si inseguono senza mai raggiungersi, come i cavallini di una giostra, Mario Draghi guarda, sornione, l'evolversi della situazione. In attesa che le posizioni si definiscano meglio, a cominciare da quelle interne alla Lega, che vive momenti di tensione per l'antagonismo latente tra Salvini e Giorgetti. Quest'ultimo, auspicando un semipresidenzialismo e spingendo, quindi, perché Draghi succeda a Mattarella, ma con poteri più ampi, di fatto circoscrive prerogative e funzioni del presidente del consiglio. Una ipotesi che, nel caso di una vittoria del centrodestra alle politiche e con Salvini in pole position per diventare premier, al ''capitano'' certo non può fare piacere. Salvini, i pieni poteri li aveva reclamati - nell'estate del Papeete e dei mojitos -, con la fine che tutti ricordano.

Non pensiamo che il tempo trascorso abbia intaccato in Salvini il pensiero che un presidente del consiglio debba avere mani più libere, nel suo agire politico. Ma un consiglio sentiamo di darglielo: se vuole continuare ad alimentare le sue ambizioni eviti cadute di stile come il peana innalzato al presidente brasiliano Jair Bolsonaro, per incensarne la grandezza. A casa sua, in Brasile, qualche dubbio su lui ce l'hanno.
Per chiarimenti, citofonare a qualcuno dei familiari degli oltre 600 mila morti per Covid, o, a piacere, dei quasi 22 milioni di contagiati.
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