Il progetto 'repubblicani' non nasconde le difficoltà di Matteo Salvini
- di: Diego Minuti
Anche se agli occhi della madre uno scarafaggio è sempre bello, pure se gli cambi nome non è che le cose migliorino. Brutto era e brutto resta. Forse bisognerebbe guardare in questo modo, con ragionevole freddezza, al colpo di teatro (l'ultimo, in ordine di tempo, di questo frenetico gennaio per il capo leghista) di Matteo Salvini che ha detto di volere costituire in Italia un partito che possa rapportarsi, imitandolo, a quello repubblicano degli Stati Uniti.
Salvini ha dichiarato di voler costruire in Italia un partito a modello "repubblicano"
Una mossa che è arrivata a poche ore di distanza dal sanguinoso strappo con Giorgia Meloni sul tema della strategia adottata dal ''Capitano'' nelle convulse consultazioni per l'elezione del presidente della Repubblica, passando per una raffica di candidature, alcune estemporanee, altre che ha cercato di imporre ad alleati che proprio non le digerivano.
Mentre gli elettori di centrodestra guardano esterrefatti all'implosione dell'alleanza, Salvini - che è in evidente difficoltà, sul fronte interno più che su quello dei rapporti esterni - ha tirato fuori il nuovo progetto che dovrebbe unificare un vasto schieramento ideologico, ma anche il cattolicesimo tradizionalista, i centristi che guardano a destra, pur non volendone fare parte, e quei ''cani sciolti'' in perenne caccia o attesa di un padrone.
Il modello sono i repubblicani d'oltreoceano, nella speranza che l'emulazione si fermi ai contenuti e non ai comportamenti muscolari che ormai sembrano prevalere sotto l'occhio compiaciuto di Donald Trump. Matteo Salvini però deve guardarsi da nemici che si stanno facendo sempre più aggressivi, cogliendo il suo momento di debolezza con la segreta speranza di ridimensionarlo. Il progetto repubblicano è in ogni caso ambizioso, ma soprattutto difficile perché, mirando a diventare un grande contenitore di segmenti politici ed ideologici non sempre accostabili, dovrebbe trovare un punto di sintesi che, almeno oggi, appare di difficile definizione.
Se l'esempio è quello dei repubblicani americani, il traguardo è ben difficile da raggiungere perché negli Stati Uniti l'adesione ad un soggetto politico spesso non ha niente di ideologico, ma è conseguenza o frutto di un modello di vita quotidiano, con una forte connotazione territoriale (o di fascia sociale) che nulla ha a che vedere con quella originaria della Lega. La capacità di Salvini, quindi, dovrebbe essere quella di trovare un comune denominatore che possa fare da polo d'attrazione per chi non vuole stare a sinistra, ma che ancora guarda con qualche timore a destra.
Perché il punto è proprio questo: qui non si sta a discutere della Lega come di una formazione ''centrista'' perché tale non è mai stata, almeno da quando Matteo Salvini ne ha preso le redini, portandola a innegabili, quanto ormai lontani successi elettorali. Nelle sue dichiarazioni il concetto di ''sinistra'' (quale che ne sia il significato) è dominante, usato, a mo' di maglio, come un termine di paragone dirimente per distinguere i buoni (lui) dai cattivi (loro).
Se l'analisi del linguaggio è importante quando si parla di un politico, Matteo Salvini ha tirato, dalla sua valigia dei trucchi, tutto l'armamentario di una battaglia che negli anni post-guerra ha fatto la fortuna della Democrazia cristiana, rendendola un partito egemone.
Il martellante uso della ''sinistra'' come accezione negativa non appartiene però alle formazioni politiche di centro e per questo - sempre se l'obiettivo di Salvini è aggregare e non segregare - forse il leader leghista dovrebbe ripensare al suo modo di rapportarsi con gli altri, sempre che il suo progetto sia sincero. Se no, se si tratta di un altro escamotage per uscire dall'angolo in cui lui stesso e da solo si è infilato, il progetto dei repubblicani d'Italia farà la fine di altri tentativi di unificare un fronte disomogeneo, quale parrebbe essere quello pensato da Salvini.